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    L’altro Ban: quando 135 anni fa gli Stati Uniti vietarono l’ingresso ai cinesi

    Nel 1882 il Chinese Exclusion Act bloccò l'immigrazione cinese anticipando l'analogo provvedimento di Trump contro i musulmani

    Di TPI
    Pubblicato il 17 Mar. 2017 alle 19:09 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 01:38

    Il blocco imposto di recente ai cittadini musulmani e voluto dal presidente Donald Trump non sembra essere il primo divieto di questo genere nella storia degli Stati Uniti. Agli appassionati della materia potrebbe richiamare alla memoria il Chinese Exclusion Act, che 135 anni fa mise al bando uno specifico gruppo etnico, quello cinese. 

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    Approvato nel 1882 dal presidente Chester A. Arthur, l’Exclusion Act rimase in vigore per molti decenni, fino al 1943. Sul provvedimento si espresse con favore il più autorevole giornale americano, il New York Times, che il 17 marzo 2017 ha ricostruito la vicenda attingendo ai suoi archivi. 

    I lavoratori cinesi cominciarono ad arrivare negli Stati Uniti nel 1850, come operai nelle miniere d’oro, nella costruzione delle strade o nelle fabbriche. I salari, bassissimi per questo tipo di mansioni, non facevano gola ai cittadini statunitensi, e l’immigrazione da Pechino faceva comodo alla produzione interna.  

    La leva economica, però, non bastò a placare le polemiche sulla mancata integrazione di questo gruppo nel tessuto sociale americano. Il senatore californiano John Miller portò in Senato la sua proposta di proibire l’ingresso dei cinesi nel paese. “È un fatto che, dovunque i cinesi siano andati, abbiano portato le loro abitudini e la loro cultura. La storia non registra casi in cui le abbiano poi perse. Rimangono cinesi sempre e comunque, senza cambiamenti, fissi e inalterabili”, disse al Senato il 28 febbraio 1882.

    Nel dibattito che sorse dopo l’approvazione della legge si fece riferimento alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo, in cui si chiariva che tutti i cittadini sono creati uguali e liberi. Il direttore del New York Times dell’epoca, John Foord, scrisse sulle pagine del suo giornale che la norma non privava i cinesi di alcun diritto e che nessun paragone poteva essere fatto con il modo in cui gli Stati Uniti avevano gestito i rapporti con gli afroamericani.

    È venuto automatico all’amministrazione Trump riferirsi proprio a questa legge per giustificare la decisione di non permettere l’ingresso nel paese ai cittadini provenienti da sei paesi a maggioranza musulmana. E anche se c’è stato un tentativo da parte dei giudici federali di Hawaii e Maryland di sancire l’incostituzionalità del provvedimento, il dibattito sull’immigrazione e sui presunti rischi per la sicurezza ad essa collegati è destinato a continuare.

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