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    Tutto quello che c’è da sapere sulle elezioni in Spagna

    L'analisi della giornalista italo-spagnola Fernanda Pesce Blazquez, inviata a Madrid per TPI

    Di Fernanda Pesce Blazquez
    Pubblicato il 26 Giu. 2016 alle 18:47 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:10

    “Il signor Rajoy ha detto che bisognava votare per lui, perché altrimenti sarebbero arrivati i cattivi. Non credo ci siano spagnoli cattivi o buoni, ma mi hanno insegnato che esistono invece governatori cattivi. Mi hanno insegnato che un cattivo governatore è chi si circonda di mafiosi e corrotti, chi si inginocchia davanti a Merkel, chi utilizza la polizia per minacciare i partiti politici. Mi hanno insegnato che un cattivo governatore è chi, quando non ha nulla da offrire, offre solo paura”.

    La folla ascolta meravigliata e abbocca. Qualche sentimentale da inizio al coro di “si se puede” (si che si può) dalle ultime file. Un eco che divampa come fuoco nel bel mezzo dell’atto di chiusura della campagna elettorale di Podemos, il partito che in meno di due anni ha saputo consolidarsi come nuova forza politica in Spagna, mettendo fine allo storico sistema bipartitico.

    Il discorso – un facile appello alla pancia dei presenti – è stato scritto e pronunciato da Iñigo Errejón, politologo classe 1983, il numero due del partito e il responsabile della campagna elettorale che si è chiusa venerdì sera nell’immenso parco di Madrid Rio. L’unica campagna che ha saputo smuovere gli animi in questo secondo giro, anche e soprattutto per via della destrezza comunicativa dei viola sui social networks.

    E per le innovazioni nei format, come il programma elettorale: questa volta stampato su un catalogo che emulava quello di IKEA, e che tanto ha fatto discutere. Tra le pagine appare anche il leader del partito, Pablo Iglesias, che annaffia le piante in un caratteristico salotto della maison svedese. Tutto molto familiare, anche il suo tono, sintomo di una retorica decisamente più mite, rispetto a quella sfoderata nella scorsa campagna.

    Brutte notizie, invece, per il Pp. Nessun catalogo a colori per il partito conservatore della destra spagnola, capeggiato dal premier in funzione Mariano Rajoy. A occupare le prime pagine della stampa spagnola in questi giorni è l’ennesimo scandalo che li vede coinvolti e che non lascia indifferenti le file tradizionaliste.

    Le conversazioni del ministro dell’Interno, Jorge Fernández Díaz, con Daniel Alfonso, il capo dell’Ufficio antifrode della Catalogna (Oac), sarebbero state illegalmente registrate nel suo ufficio e gli ascolti proporzionati alla stampa dal quotidiano online Público.es, a pochi giorni dalla fine della campagna.

    Negli audio, risalenti al 2014, il ministro discuteva nel suo ufficio con Alfonso sulla possibilità di indagare i dirigenti di alcuni partiti politici favorevoli all’indipendenza della Catalogna. Secondo Rajoy, si tratterebbe di una manovra elettorale mirata a ledere l’immagine del partito in vista delle elezioni. I restanti leader hanno pubblicamente chiesto le dimissioni del ministro.

    La Spagna, in fibrillazione, si è svegliata presto questa mattina. In tanti si preparano al voto, avranno tempo fino alle 20. Alcuni hanno già barrato la scheda elettorale e altri hanno già espresso le loro preferenze per posta, anche dall’estero. Alle 21 i primi risultati ufficiali.

    Secondo i recenti sondaggi dell’Istituto Metroscopia, pubblicati dal quotidiano spagnolo El País, i risultati non differiranno di molto da quelli delle passate elezioni generali del 20 dicembre. Sarebbe quindi nuovamente il partito conservatore degli azzurri, il PP di Mariano Rajoy, a vincere con una media di 114 seggi e il 25% dei voti, senza raggiungere la maggioranza assoluta di 176 seggi.

    Nella giornata di oggi, alle 14, la partecipazione elettorale, secondo le statistiche pubblicate da El País, era praticamente identica a quella del 20-D (39,9 per cento): il 36,8 per cento dei cittadini si è già recato ai seggi. L’unica reale novità sembrerebbe quindi l’alleanza tra Podemos e Izquierda Unida, formazione politica che riunisce i partiti della sinistra storica spagnola. Unidos Podemos ha ribaltato gli equilibri politici e superato il partito socialista spagnolo, il PSOE di Pedro Sanchez, consolidandosi al secondo posto, con un sorpasso storico. Ultimissimi, i moderati del partito centrista di Albert Rivera, Ciudadanos.   

    Gli spagnoli tornano alle urne, per la seconda volta in sei mesi, nella speranza che si superi l’impasse, dopo mesi di negoziati infruttuosi tra i partiti e veti incrociati, che escludevano ogni possibilità di dialogo e accordo. Chi sono quindi i leader che aspirano al governo e che non riescono ad accontentare la volontà di un paese che esige dialogo e compromesso tra le diverse forze politiche?

     Mariano Rajoy

    Mariano Rajoy, classe 1955, è l’attuale premier uscente e presidente del Partito Popular (PP), il partito conservatore della destra spagnola. Rajoy è presidente del governo in Spagna dal 2011.

    Nonostante il suo partito abbia ottenuto il maggior numero di voti durante le passate consultazioni, Rajoy ha declinato l’incarico di formare un governo lo scorso gennaio, rifiutando l’offerta del re Filippo VI, per mancanza di sostegno da parte dell’opposizione.

    Nel suo programma elettorale, Rajoy, che ha sanato sensibilmente il problema della disoccupazione in Spagna, promette di generare ulteriori due milioni di posti di lavoro, nei prossimi quattro anni. Consiglia di perseverare nelle politiche economiche attuate negli ultimi anni. La sua figura rimane legata agli scandali di corruzione del partito e alla sua retorica troppo distante dalle nuove generazioni.

     – Pedro Sánchez

    Pedro Sánchez, economista classe 1972, è il segretario generale dello storico Partito Socialista Spagnolo, il PSOE. Ha tentato di formare governo presentandosi con un programma di centro-sinistra, accordato con i moderati di Ciudadanos, rifiutato in seguito sia dal PP sia da Podemos.

    Nel programma elettorale del partito, di stampo moderato, Sanchez propone la deroga della riforma sul lavoro: la causa, secondo lui, della disoccupazione in Spagna. Propone l’aumento del salario minimo, la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e l’approvazione di una legge che abolisca il divario salariale tra uomini e donne, tra le altre.

    – Pablo Iglesias

    Pablo Iglesias, classe 1978, è il segretario generale del nuovo partito di sinistra Podemos. È un politologo ed ex professore all’Università Complutense di Madrid. Podemos, nato dalle ceneri del celebre movimento sociale spagnolo del 15M, gli Indignados, è stato fondato nel 2014.

    Catalizzatore di un profondo cambiamento che ha scosso gli equilibri della politica spagnola negli ultimi due anni, il partito di Iglesias ha saputo cogliere l’onda del malcontento che inondava la Spagna, conquistando anche il voto dei giovani ed entusiasmandoli alla politica.

    Podemos aspira alla trasformazione della società spagnola. Nella sua idea di metamorfosi, Iglesias propone una Spagna pluralista e difende il diritto all’autodeterminazione (tra cui un referendum in Catalogna) e il diritto alla casa. Propone un aumento del salario minimo, l’abolizione dei ritagli da parte del Governo in materia di educazione e sanità, l’aumento della spesa pubblica e pari permessi di maternità e paternità, tra le altre. Iglesias viene duramente criticato per la sua incoerenza e trasformismo.

    – Albert Rivera

    Albert Rivera, classe 1979, è il viso pulito della politica spagnola. Non un rumor alle sue spalle, né uno scandalo politico. Ha fondato il suo partito Ciudadanos, di stampo centrista e moderato, nel 2006. Rivera è inoltre un deputato del Parlamento della Catalogna, ma non è a favore dell’indipendentismo. 

    Durante i negoziati per la formazione del governo spagnolo nei mesi scorsi è stato l’attore politico più propenso al dialogo e al compromesso. Il suo programma, presentato in alleanza con il Psoe durante le sessioni d’investitura, è stato categoricamente rifiutato dall’opposizione.

    Per i giovani spagnoli Rivera vuole contratti senza una data di scadenza: meno precarietà, affinché si possa migliorare l’economia. Punta a modernizzare il settore aziendale. Non vuole la deroga di tutte le riforme del Partito Popolare, ma propone un risanamento integrale delle politiche finora attuate. Propone una riforma della scuola e un programma solido contro le frodi fiscali, tra le altre. La posizione ideologica di Rivera insospettisce sia le file dei popolari sia quelle di sinistra. 

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