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    SodaStream accusa Netanyahu di sfruttare il conflitto con i palestinesi

    L'ad dell'azienda israeliana incolpa Tel Aviv della perdita di 500 posti di lavoro palestinesi e di alimentare il conflitto per usarlo a proprio vantaggio

    Di TPI
    Pubblicato il 4 Ago. 2016 alle 09:54 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:23

    L’amministratore delegato della società israeliana SodaStream Daniel Birnbaum ha accusato il primo ministro Benjamin Netanyahu di essere il responsabile della perdita di 500 posti di lavoro palestinesi dopo il trasferimento dell’azienda dai territori occupati a un nuovo sito nel deserto del Negev.

    Lo spostamento dell’azienda, che produce gasatori d’acqua domestici, era stato attribuito alla pressione di un gruppo filopalestinese per il boicottaggio della produzione israeliana (Boycott, Divestment and Sanctions movement o Bds), ma Birnbaum ha smentito queste insinuazioni incolpando invece il governo di Tel Aviv di perpetuare il conflitto con i palestinesi per sfruttarlo a proprio vantaggio e ha chiamato Netanyahu “il primo ministro del conflitto”.

    “Mi duole dover ammettere che credo che questa amministrazione stia alimentando il conflitto in tutte le sue malvagie manifestazioni. Nutrono l’odio e il boicottaggio e nutrono il separatismo … Hanno smantellato un’oasi di pace”, ha dichiarato Birnbaum al Times of Israel.

    Le esternazioni dell’ad dell’azienda sono un doppio colpo per il governo Netanyahu, dato che, oltre a rivolgergli pesanti accuse, lo privano dell’argomentazione contro il movimento Bds, accusato della perdita di centinaia di posti di lavoro palestinese, che era stata utilizzata anche in colloqui di alto profilo con alleati e rappresentanti diplomatici stranieri.

    La SodaStream al momento del trasferimento voleva mantenere la forza lavoro palestinese, ma i colloqui con funzionari di governo per ottenere i permessi non andarono a buon fine.

    Il governo offrì all’azienda solo 120 permessi nonostante tutto il personale avesse passato le procedure per ottenere l’autorizzazione a lavorare nella vecchia fabbrica, collocata all’interno di un insediamento. Da quella prima offerta il numero è sceso a zero.

    Birnbaum attacca il primo ministro in modo inequivocabile: sarebbe infatti stato proprio Netanyahu in persona a intervenire nella faccenda e tagliare i permessi, col chiaro intento di ottenere un’arma da usare contro il movimento Bds.

    Naturalmente, l’ufficio del premier rispedisce al mittente le accuse asserendo che, al contrario di quanto dichiarato da Birnbaum, Netanyahu era intervenuto ad aiutarlo – senza successo – e manifestando una certa amarezza e contrarietà per la mancanza di gratitudine dell’azienda.

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