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    Siria, esplosione ad Afrin uccide 7 civili e 4 ribelli

    I ribelli siriani hanno abbattuto nel centro di Afrin la statua di Kawa, una figura leggendaria per i curdi.

    L'attentato all'indomani della conquista della città da parte dell'Esercito siriano libero alleato della Turchia

    Di TPI
    Pubblicato il 19 Mar. 2018 alle 10:48 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:41

    Una bomba esplosa in un edificio di quattro piani nella città di Afrin, nel nord-ovest della Siria, ha ucciso sette civili e quattro membri dell’Esercito siriano libero all’alba di oggi, lunedì 19 marzo 2018.

    Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa statale turca Anadolu, l’ordigno è stato piazzato dai combattenti dell’Unità di Protezione Popolare (YPG), la milizia curda che Ankara considera un’organizzazione terroristica.

    La bomba è esplosa nel corso di una operazione dell’Esercito siriano libero, la forza armata dei ribelli in conflitto con il governo di Damasco e alleata della Turchia, che ieri, domenica 18 marzo 2018, ha preso il pieno controllo di Afrin.

    Oltre alle undici vittime, l’attentato ha gravemente danneggiato gli edifici e le automobili che si trovavano nelle vicinanze del luogo dell’esplosione.

    La conquista di Afrin ad opera dell’Esercito siriano libero e della Turchia segna il raggiungimento del più importante obiettivo dell’operazione Ramoscello d’ulivo, lanciata il 18 gennaio 2018 con una serie di attacchi aerei sferrati su oltre cento bersagli ad Afrin, a nord di Aleppo.

    Il 21 gennaio è partita anche l’avanzata via terra, condotta dalle truppe turche insieme all’Esercito Siriano Libero e sostenuta dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan.

    L’obiettivo dichiarato dell’operazione era ristabilire la pace nella zona siriana vicina al confine con la Turchia, cacciando coloro che Ankara ritiene essere i “terroristi” che la controllano al momento.

    Con questo termine il governo di Ankara indica sia gli affiliati del sedicente Stato islamico sia i militanti YPG, che Erdogan considera legati al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

    “La maggior parte dei terroristi è già fuggita con le code tra le gambe”, ha detto il presidente turco in una dichiarazione di questa mattina, 18 marzo 2018.

    Le forze armate turche hanno abbattuto una statua di una figura leggendaria del popolo curdo, al centro di Afrin.

    Mohammad al-Hamadeen, portavoce dell’Esercito libero siriano appoggiato dalla Turchia, ha dichiarato di non aver incontrato resistenza.

    Il presidente Erdogan aveva promesso di “soffocare” quello che ha definito un “esercito terrorista”.

    Sono almeno 819 i combattenti uccisi dall’inizio delle operazioni militari, di cui 391 miliziani curdi, 347 ribelli siriani sostenuti dalla Turchia, oltre 70 militari di Ankara e 81 combattenti delle cosiddette Forze popolari affiliate al governo di Damasco, secondo quanto riportato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani.

    A questi vanno aggiunte le morti tra i civili, che si contano in almeno 204, di cui almeno 32 bambini.

    Secondo le Nazioni Unite, invece, sono almeno 50mila i profughi che hanno dovuto abbandonare le proprie case nel nord ovest della Siria da quando sono iniziati gli attacchi.

    E sono ancora almeno 1 milione le persone intrappolate nell’enclave siriana, proprio mentre l’esercito turco sta compiendo l’ultimo assedio.

    Dal comando delle truppe del presidente Erdogan fanno intanto sapere di aver neutralizzato 3.393 “terroristi” dall’inizio dell’azione militare, comprendendo anche i miliziani che vengono “catturati vivi”.

    Da parte loro, i curdi del Ypg smentiscono le dichiarazioni della Turchia: “I turchi stanno bombardando tutte le strade intorno ad Afrin”, ha fatto sapere l’Unità di protezione del popolo curdo, “ma non è vero che la città è circondata”.

    Civili in fuga da Afrin 

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