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    Il business della morte: così la Russia usa la guerra in Siria per fare soldi con le armi

    L'intervento militare di Putin in Siria, dal settembre 2015, a sostegno di Assad, si sta rivelando un fruttuoso business: la Russia testa le sue armi e le rivende in giro per il mondo

    Di Omar Abdel Aziz Ali
    Pubblicato il 30 Ott. 2019 alle 11:49 Aggiornato il 18 Nov. 2019 alle 14:04

    L’intervento militare della Russia in Siria, dal settembre 2015, a sostegno del dittatore Bashar Al-Assad, non è stato solo il tentativo di mantenere un alleato storico nella regione e collocarsi come interlocutore chiave in quell’importante area del Medioriente.

    L’operazione in Siria del Cremlino, che fino ad oggi è costata poco più di 500 milioni di dollari, si sta rivelando un fruttuoso business: solo nell’ultimo anno la Russia avrebbe incassato 37 miliardi di euro in vendite di armamenti e munizioni russe nel mercato estero, con una crescita dell’8,5 per cento rispetto al 2018.

    E questo proprio grazie alla guerra in Siria: 180mila chilometri quadrati di territorio siriano sono quanto basta per introdurre e testare i nuovi armamenti dell’industria bellica russa, sotto gli occhi dei clienti cinesi, sudamericani, sauditi, indiani.

    La Siria sarebbe stato un grande terreno di prova dove mostrare la potenza delle nuove dotazioni in forza all’esercito del Cremlino, pronte poi per essere rivendute in tutto il mondo.

    Il laboratorio Siria

    Circa 200 nuove armi, aerei ed altri dispositivi bellici sono stati introdotti e testati per la prima volta in Siria, riuscendo cosi a verificarne l’efficacia e i difetti. A confermarlo è il ministro della Difesa del Cremlino  Sergei Shoigu in un’intervista ad una testata locale russa.

    I nuovi carri armati T90, tra i più utilizzati nell’esercito russo, raggiungono la base russa di Tartus e Hamimya in Siria nel 2015 e vengono impiegati immediatamente sul fronte, in dotazione all’esercito di Assad così come i nuovi caccia Suchoi-35, che iniziano a bombardare le postazioni di Daesh e le aree controllate dall’opposizione siriana in tutto il paese.

    Tra gli esperimenti anche il lancio nell’ottobre 2015 dei missili balistici Calibar, che con una gittata di 1500 chilometri, sono stati lanciati dalla marina russa dal Mar Caspio, e attraverso l’Iran e Iraq, hanno colpito obbiettivi dell’Isis in Siria.

    Human Rights Watch in un rapporto sulla Siria accusa il Cremlino di aver condotto dei bombardamenti con le cluster bomb o bombe a grappolo, colpendo in maniera indiscriminata aree  civili.

    La Russia infatti non è tra i firmatari della Convenzione Onu contro l’utilizzo di questi micidiali ordigni. Ad usare simili bombe, ma con l’aggiunta di chiodi, anche le Tiger Forces, le forze speciali siriane alleate di Mosca, accusati di crimini di guerra e i cui dirigenti sono sulla black list di Europa e Stati Uniti.

    Dopo i test sul campo, vecchi e nuovi clienti

    Come riporta Al Jazeera dopo appena un anno dall’utilizzo dei nuovi T90 in Siria, nel 2016 sia l’Algeria che l’India si mostrano interessati ai potenti corazzati russi così come l’Arabia Saudita, nonostante sul fronte siriano sostenga militarmente l’opposizione siriana.

    Anche nella guerra civile in Yemen, sono molto richiesti i T90 utilizzati dalle milizie sciite Houthi nei combattimenti contro la coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Secondo il the  Royal Istitute International Affairs tra 2000 al 2016 il Medioriente rappresenterebbe per il Cremlino la terza regione più importante per export bellico, con vecchi clienti come l’Iraq, Siria, Yemen e nuovi come Algeria ed Emirati Arabi.

    In una regione sottolinea il rapporto, in continuo mutamento e dunque con crescenti opportunità di vendita. Il totale dell’export russo 2019 si dividerebbe in un 55 per cento verso Algeria, India e Cina, 17 per cento Africa e 16.5 per cento in Medioriente e il restante verso il Sud-est asiatico e Sudamerica, come riporta il Stockholm International Peace Research Institute.

    Il Medioriente e il Nordafrica rimangono regioni, sottolinea il rapporto, in continuo mutamento e dunque con crescenti opportunità di vendita. Basti pensare che tra il 2009 e il 2013 in Iraq, il Cremlino ha aumentato il volume delle vendite di armi nel paese arabo dilaniato dalla guerra del 780 per cento e in Egitto tra il 2014 e il 2018 del 150 per cento.

    La crescita dell’export russo

    I numeri dell’export bellico russo per il mercato estero ha avuto un’impennata a seguito dell’intervento militare in Siria.

    Nel 2013 così come nel 2014 il Cremlino ha venduto armi per un valore di circa 10miliardi di dollari, mentre nel 2015 il business si attestava intorno ai 14miliardi di dollari, come riporta Al Jazeera.

    Dal 2016 invece il Ministero della difesa russo stimava vendite future per 56miliardi per il mercato estero, mentre in realtà l’export si è attestato a 37 miliardi per il 2019, un record che porta la Russia a secondo paese al mondo, dopo gli Usa, per volume di affari nel settore bellico.

    Le aziende del Cremlino specializzate nella produzione di armamenti, in particolare la privata Uralvagonzavod e la statale Almaz-Antey sono entrate nelle prime dieci aziende al mondo per volume d’affari nel 2019.

    Secondo stime del The Syrian Network For Human Rights, riportate dal Sole 24 ore, le vittime del conflitto siriano sarebbero circa mezzo milione.

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