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    “I siriani stanno tornando ad Aleppo, ma non c’è acqua per tutti”

    Ghiaccio in vendita per le strade di Aleppo a luglio 2017. Credit: Omar Sanadiki

    Durante l'assedio della città siriana sono stati distrutti pozzi e bacini idrici. TPI ha intervistato Dina Taddia, presidente della Ong GVC, attiva ad Aleppo per fronteggiare l'emergenza

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 12 Set. 2017 alle 18:28 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:47

    “Ad Aleppo c’è un enorme flusso di persone che ritornano, il nostro obiettivo è far sì che tutte abbiano accesso all’acqua potabile”. Dina Taddia è la presidente dell’organizzazione non governativa Gvc (gruppo di volontariato civile), attiva nell’assistenza umanitaria ad Aleppo già prima della fine della battaglia che ha avuto luogo nella città siriana e che si è conclusa a dicembre 2016 con la vittoria delle forze governative.

    In precedenza, infatti, l’Ong gestiva un progetto a supporto delle scuole per giovani profughi iracheni, gestito insieme al ministero dell’Istruzione siriano.

    “A partire da dicembre 2016 la situazione ad Aleppo è stata molto fluida”, spiega Taddia a TPI. “In sei mesi, da gennaio a giugno 2017, quasi mezzo milione di persone che erano fuggite dalla città e dal governatorato di Aleppo hanno fatto ritorno. Ad andarsene durante la guerra era stato un milione di persone”.

    Durante l’assedio della città siriana, oltre a ospedali, scuole e abitazioni, sono state bombardate anche le strutture idriche che garantivano alla popolazione un accesso all’acqua quasi totale. A essere distrutti sono stati pozzi e bacini d’acqua che permettevano la distribuzione delle risorse idriche ai 4 milioni di abitanti del governatorato.

    “Con il conflitto la situazione dell’acqua è diventata più complessa. Le condutture passavano da una linea all’altra del fronte. Se c’era un danno bisognava vedere se l’intervento di riparazione doveva continuare nell’area in cui noi non avevamo accesso. Per fortuna tramite il nostro personale, che è in contatto con tutti, siamo riusciti a intervenire anche in questi casi”.

    Passati i bombardamenti e cacciati i ribelli, l’emergenza idrica è rimasta.

    “Ora il nostro obiettivo è garantire accesso all’acqua a tutti coloro che stanno tornando. Questa è la cosa fondamentale, insieme a garantire loro cibo e istruzione”, spiega la presidente di Gvc.

    L’organizzazione agisce in tre direzioni: per prima cosa svolge un’attività di monitoraggio e valutazione insieme alle autorità, per capire quali sono le strutture danneggiate e proporre loro come intervenire; inoltre rifornisce i pozzi con dei generatori, dal momento che la rete elettrica è danneggiata e senza elettricità i pozzi non funzionano; infine, controlla la qualità dell’acqua.

    “Con il danneggiamento delle strutture idriche, durante l’assedio la popolazione ha attinto a pozzi privati, o che magari erano chiusi da tanti anni. Non abbiamo la certezza che quest’acqua sia di qualità, il rischio è quello che le persone contraggano malattie”.

    L’Ong ha riscontrato diversi casi di gastroenterite e malattie della pelle a cause delle scarse condizioni igieniche. “Non abbiamo ancora riscontrato casi di colera, come è successo invece ad Haiti. Qui l’aria è più secca e questo aiuta”, puntualizza Taddia. “I bambini sono i più vulnerabili, le loro condizioni – se non c’è un intervento immediato – possono aggravarsi velocemente”.

    Aleppo non è la sola regione in cui è in corso una crisi idrica. Ci sono parti della Siria in cui il conflitto tra i ribelli e le forze governative di Bashar al-Assad sono ancora in corso, dove la popolazione ha difficoltà ad accedere a fonti di acqua potabile. Inoltre, anche nella zona intorno a Damasco, alcune strutture idriche sono danneggiate.

    Secondo dati recentemente diffusi dall’Unicef a partire da un’analisi svolta insieme all’Organizzazione mondiale della Sanità, in Siria sono complessivamente 15 milioni le persone che non hanno accesso a fonti sicure di acqua potabile. Fra questi, 6.4 milioni sono bambini.

    Nel mondo sono invece 180 milioni le persone che non hanno accesso all’acqua potabile in paesi colpiti da conflitti, violenze e instabilità.

    Di recente Gvc ha lanciato una campagna chiamata Goccia a goccia che mira alla costruzione di infrastrutture idriche, sistemi di distribuzione e gestione dell’acqua per uso domestico al fine di consentire a ogni famiglia un accesso sicuro, permanente e controllato all’acqua potabile.

    “L’acqua è un bene primario che cerchiamo di garantire il prima possibile nelle zone di conflitto in cui interveniamo. Ma per noi l’acqua è anche il comune denominatore di tutti i progetti sullo sviluppo. È un elemento trasversale senza il quale non si può fare nulla”, spiega Taddia.

    “Oggi il problema dell’acqua però è mondiale, con il cambiamento climatico che rende non più coltivabili aree che prima lo erano e viceversa dà luogo ad alluvioni in luoghi in cui prima non si verificavano, e dove l’uomo non ha risorse per fronteggiarli”.

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
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