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    Scontri e violenza dopo il voto

    Maduro è stato proclamato presidente, ma l'opposizione non ci sta. Il Paese è preda di scontri e tensioni

    Di Federico Larsen
    Pubblicato il 17 Apr. 2013 alle 02:06 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:04

    Il candidato scelto da Hugo Chávez come suo successore, Nicolás Maduro, é stato proclamato lunedí come nuovo presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela dal Consiglio Nazionale Elettorale (Cne), quarto potere dello Stato. La dichiarazione arriva dopo le pesanti accuse di parzialità rivolte al Cne da parte dell’opposizione, che sin dalla notte di domenica ha annunciato di non riconoscere i risultati delle votazioni.

    Nicolás Maduro ha vinto con il 50,75 per cento dei voti, contro il 48,98 per cento raggiunto dal candidato rivale, Henrique Capriles Radonsky. Alle elezioni hanno partecipato il 79,17 per cento degli aventi diritto. “Sono il primo presidente chavista dopo Chávez”, ha affermato Maduro durante il suo discorso, in cui ha ricordato che negli ultimi 14 anni di governo, il socialismo bolivariano ha affrontato 18 elezioni, perdendo solo una volta, in occasione del referendum costituzionale del 2007, dove ha accettato la sconfitta immediatamente.

    La vittoria di Maduro è stata riconosciuta dalla maggior parte dei Paesi del mondo, mentre gli Stati Uniti e la Spagna hanno sostenuto la richiesta di Capriles di riconteggio dei voti, basata sul fatto che tra i due candidati ci sono meno di 300 mila voti di differenza.

    La situazione è precipitata nel pomeriggio di lunedì, dopo la proclamazione di Maduro, quando Capriles ha invitato i suoi sostenitori a protestare contro il risultato. L’opposizione si è espressa con il “cacerolazo”, battendo pentole e stoviglie. Un frastuono che si è fatto sentire forte nella zona est di Caracas, quella più ricca, mentre a ovest i sostenitori di Maduro facevano suonare s tutto volume canzoni di Alí Primera, cantante rivoluzionario venezuelano, dalle loro finestre.

    Poi sono cominciate ad arrivare notizie più gravi. In diversi stati gli oppositori hanno bloccato il traffico delle principali città bruciando copertoni e spazzatura. Alcuni gruppi armati hanno assalito le sedi del Partito Socialista Unito del Venezuela, e fino a ora sette persone sono rimaste uccise negli scontri, mentre i feriti si contano a decine. A Caracas, la tensione è salita al massimo quando diverse centinaia di persone hanno assediato le sedi del canale statale di televisione Telesur.

    Agenzie di stampa internazionali denunciavano stamattina che i principali centri di assistenza medica dello stato Miranda, dove lavorano i medici cubani inviati attraverso l’accordo di appoggio reciproco con L’Avana, sono stati attaccati e in alcuni casi incendiati.

    Intanto, Maduro rispondeva le domande della stampa dal palazzo di Miraflores, sede della presidenza della repubblica. “Sarei un pazzo se chiedessi alla polizia e ai quartieri di scendere in strada stanotte a difendere la rivoluzione”, ha assicurato il presidente, che ha poi riaffermato che non utilizzerà né la forza pubblica né la militanza chavista per fermare l’opposizione. “Ci comporteremo secondo la legge e nel rispetto totale della costituzione”, ha dichiarato.

    Cosí, due giorni dopo la prima elezione in 14 anni in cui non si presenta Hugo Chávez, il Venezuela vive momenti di tensione e apprensione. Maduro ha affermato che la situazione è uguale a quella vissuta nel Paese nel 2002, quando la destra venezuelana tentò un colpo di Stato che rovesciò il governo di Chávez per 47 ore. Allora, la mobilitazione popolare e la lealtà dell’esercito verso il governo riuscirono a riportare il Paese alla normalità. Oggi, si attendono ancora gli sviluppi di queste nuove violenze post-elettorali.

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