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    L’Isis sta perdendo la guerra?

    Lo Stato Islamico starà anche vincendo mediaticamente, ma sul campo di battaglia in realtà le cose potrebbero essere diverse

    Di Matteo Garavoglia
    Pubblicato il 13 Nov. 2015 alle 11:31 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:10

    Mentre l’Isis continua a occupare le cronache di tutto il mondo con esecuzioni di massa e rapimenti collettivi che fanno pensare a una sua continua espansione in Siria e in Iraq, numeri e fatti sembrerebbero mostrare che la realtà sia invece un’altra.

    Il giornalista Zack Beauchamp, in un articolo pubblicato sul sito d’informazione americano Vox, scrive che l’Isis sta perdendo la guerra in Medio Oriente.

    Nonostante lo Stato islamico si estenda su un territorio pari a quello del Regno Unito, al momento i militanti del califfo al Baghdadi, dopo le vittorie degli ultimi mesi, stanno battendo in ritirata.

    In Iraq, un anno fa l’Isis era riuscito a conquistare Mosul, la seconda città del Paese. A fine febbraio alcuni militati islamici hanno diffuso un video che mostra la distruzione di reperti archeologici.

    Al momento, l’esercito iracheno sta preparando una controffensiva per riprendere il controllo della città. Secondo gli Stati Uniti, l’attacco avverrà ad aprile con la partecipazione delle forze curde.

    Il 2 marzo 2015, 30mila soldati dell’esercito iracheno hanno lanciato un’azione di terra per riprendere il controllo della città di Tikrit, città natale di Saddam Hussein, attualmente in mano all’Isis.

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    Nel frattempo, sono ripresi i successi delle forze governative. “Si registrano vittorie significative del governo a nord della valle dei fiumi, nel governatorato di Diyala e di Salahuddin”, ha dichiarato Doug Ollivant, presidente dal 2008 al 2009 del National Security Council for Iraq.

    Nel nord del Paese, invece, i curdi stanno cercando di tagliare i collegamenti dell’Isis tra Siria e Iraq tramite il blocco dell’autostrada principale.

    A dicembre la città nord occidentale di Sinjar è stata riconquistata, mentre a fine gennaio i peshmerga curdi sono riusciti a prendere il controllo del tratto autostradale di Kiske, a 40 chilometri da Mosul.

    Tuttavia, lo Stato islamico non sta perdendo dappertutto. “La situazione nella provincia occidentale di Anbar è molto più complessa”, ha proseguito Ollivant. “Il governo iracheno guadagna territori da una parte e li perde dall’altra”.

    “L’Isis… perderà la sua battaglia per il controllo dei territori in Iraq”, ha inoltre scritto Ollivant in un articolo su War on the Rocks. “Non esiste nessuno Stato islamico in Iraq.

    “Essi operano soltanto come gruppi ribelli o malavitosi. Non hanno i mezzi per imporre la shari’a, pattugliare e governare uno stato”.

    La situazione in Siria è molto diversa. A Raqqa, capitale del califfato nel nord del Paese, l’Isis si è radicato più di qualunque altra città in Iraq e l’eterogeneità delle forze in campo non ha permesso di focalizzarsi solamente sullo Stato islamico.

    “Tutti vedono il califfato come una priorità secondaria”, ha dichiarato Sasha Gordon, firma di Caerus Associates.”Per motivi di propaganda, il regime preferisce sconfiggere gli altri ribelli e viceversa”.

    Nonostante ciò, la liberazione di Kobane del 27 gennaio da parte delle forze curde con l’aiuto dei bombardamenti americani ha rivelato l’importanza della cooperazione internazionale per sconfiggere lo Stato islamico.

    Sono tre i motivi che fanno pensare alla debolezza del califfo al Baghdadi – leader dell’Isis – nel raggiungere i suoi obiettivi:

    1. Bombardamenti della coalizione internazionale. Anche se non potranno distruggere definitivamente l’Isis, i raid aerei hanno reso molto difficile la libertà di manovra dei militanti islamici.

    2. Lo Stato islamico ha perso l’effetto a sorpresa. Rispetto ai 48mila soldati iracheni o ai 190mila peshmerga curdi nel nord dell’Iraq, l’Isis può contare su 20.000 – 30.000 combattenti.

    Con questo tipo di numeri, la tattica dello Stato islamico è stata di compiere blitz rapidi sfruttando il mal dispiegamento dell’esercito iracheno e riuscendo a conquistare città come Mosul.

    Ora, i bombardamenti americani hanno bloccato i collegamenti tra una città e l’altra e il riposizionamento delle forze governative non permette più questi tipi di attacchi.

    3. La mancanza di alleati. L’ideologia dell’Isis richiede una totale e assoluta aderenza ai principi della legge islamica. In questa sua visione, nessun gruppo – incluso Al Qaeda – è considerato sufficientemente puro.

    Questo aspetto si può vedere prevalentemente in Siria dove lo Stato islamico ha chiuso i rapporti con il Fronte al-Nusra e gli esponenti di Al Qaeda nella regione, rinunciando a possibili alleanze.

    Rispetto ad altri gruppi islamici, lo Stato islamico ha un’altra particolarità. Se i talebani in Afghanistan avevano deciso, nel 2001, di rinunciare alle loro istituzioni politiche per darsi alla lotta armata attiva contro l’intervento americano, l’Isis ha deciso di porsi come stato.

    “Il califfato ha bisogno di un territorio dove poter rafforzare la legge islamica”, ha spiegato il giornalista Graeme Wood in un articolo pubblicato sul giornale americano The Atlantic.

    Le decisioni di espansione dell’Isis, inoltre, sono dettate principalmente dall’ideologia, come il tentativo di conquistare territori controllati dalle forze curde. Per i militanti di al Baghdadi, la vittoria finale è stata promessa da Allah e Dio li proteggerà fino al raggiungimento dell’obiettivo finale, anche se difficilmente realizzabile.

    In ultima analisi, l’Isis sembra essere troppo vulnerabile di fronte alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, continuando un tipo di guerra tradizionale per tenere  sotto il proprio controllo le città conquistate nonostante il numero ridotto di combattenti con cui far fronte.

    Anche se la guerra contro lo Stato islamico potrebbe durare anni, Zack Beauchamp ritiene che quello dell’Isis sia solo uno dei tanti capitoli nella storia irachena post invasione americana 2003. E potrebbe anche non essere l’ultimo.

    In Siria, invece, la guerra civile sta rallentando l’impegno militare contro l’Isis e il conflitto potrebbe portarsi per più di una generazione.

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