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    “I russi hanno perso la guerra, ma la pace non è vicina”: a TPI parla lo storico militare Gastone Breccia

    A sette mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, cosa sta accadendo oggi? TPI lo ha chiesto allo storico militare Gastone Breccia

    Di Roberto Sciarrone
    Pubblicato il 21 Set. 2022 alle 13:51 Aggiornato il 21 Set. 2022 alle 14:01

    Sono trascorsi quasi sette mesi da quel 24 febbraio, ma sembra molto di più. La guerra è diventata un’abitudine, nomi di città ucraine come Kharkiv, Bucha, Zaporizhzhia, Kramatorsk, Mariupol, Mykolaïv, Odessa sono stati prima assimilati e poi quasi dimenticati sui bagnasciuga di una delle estati più calde di sempre. In tutti i sensi.

    Eppure esattamente sette mesi fa accadeva qualcosa di impensabile per la storia recente d’Europa: tank russi che cannoneggiavano sulle case delle città di un Paese europeo, l’attacco diretto contro Kiev, missili nei cieli e continui bombardamenti in nome della “denazificazione” celebrata da Putin in uno stadio gremito con tanto di bandiere e cittadini russi festanti. Facce, simboli e propaganda che ci hanno portato indietro di decenni, fino ai fantasmi di quella “Seconda guerra mondiale” che credevamo ormai sepolta in un passato lontano, trasformato dalla velocità dell’era digitale. E’ invece no. È stata aggredita una democrazia che da anni cercava sempre più di legarsi a Bruxelles guardando a Ovest. Cosa sta accedendo oggi? TPI ne ha parlato con Gastone Breccia, esperto di storia militare.

    Si può tracciare ad oggi, dopo quasi sette mesi di conflitto un bilancio delle perdite umane da parte dell’Ucraina? Come interpretare il sacrificio dei cittadini ucraini nell’ambito della difesa della loro patria?
    Le stime sulle perdite ucraine variano molto a seconda delle fonti. Sono certamente caduti migliaia di soldati, e decine di migliaia sono rimasti feriti; per quello che riguarda i civili, le Nazioni Unite parlano di quasi 6.000 morti e 8.500 feriti fino all’11 settembre scorso, ma si tratta di una valutazione molto prudente. Quello che mi preme sottolineare è che sono comunque gli ucraini che stanno morendo a migliaia per difendere la loro terra.

    Possiamo discutere all’infinito riguardo le cause vicine e lontane del conflitto, le “ragioni” di Putin, l’opportunismo statunitense, ma la verità che nessuno può cancellare è questa: il popolo ucraino sta sacrificandosi per sconfiggere un esercito invasore. Le armi occidentali aiutano, l’intelligence fornita dalla NATO è senza dubbio un elemento determinante sul campo di battaglia, ma chi combatte e muore sono gli ucraini. Non per fare un favore a Washington, ma per mantenere libera la loro patria. 

    Dal punto di vista strettamente militare quali sono le strategie russe oggi? È una guerra persa quella di Putin?
    I russi hanno perso. Hanno invaso l’Ucraina, puntando sulla capitale nemica, e sono stati ricacciati. Hanno ridimensionato le proprie ambizioni strategiche, ma non hanno raggiunto nemmeno i nuovi obiettivi. Hanno recentemente subito una sconfitta sul campo che ha messo in luce il basso morale delle loro truppe, la scarsa flessibilità dei loro comandi, gli enormi limiti della loro logistica (che li costringe ad abbandonare centinaia di mezzi che potrebbero essere riparati).

    Nonostante questo, la pace non è vicina. Putin non può darsi per vinto, perché sarebbe la sua fine. Ha, o pensa di avere, ancora qualche carta da giocare: raccogliere le forze per un’ultima offensiva che gli consenta di conquistare almeno il Donbass; sperare in un disgregamento dell’alleanza occidentale; creare un “incidente” che gli consenta una escalation nucleare. La prima ipotesi è problematica, la seconda improbabile, la terza catastrofica e suicida. La strada più saggia sarebbe quella di aprire trattative finché è in tempo, ovvero finché controlla ancora (oltre la Crimea) la fascia costiera del mare di Azov è una parte del Donbass, ma non credo sia intenzionato a farlo. Si entra quindi in una fase critica: gli ucraini non sono stati sconfitti, quindi – essendo stati aggrediti – si sentono legittimamente sulla via della vittoria; i russi non hanno raggiunto i loro obiettivi, ma non sono ancora nella condizione di riconoscere la sconfitta militare: in una situazione del genere, sono possibili azzardi pericolosi.

    Vista la “fase critica” cui accennavi quanto è ardua la strada verso la pace? Quali scenari nel prossimo futuro?
    La pace può nascere solo da un pactum, un accordo tra le parti, o dalla resa incondizionata di uno dei due contendenti. L’accordo tra russi e ucraini è in questo momento difficile perché i russi non possono (ancora) ammettere di aver perso, mentre gli ucraini non hanno perso; d’altro canto, la resa incondizionata degli ucraini è ormai fuori discussione, visto il successo della loro controffensiva, mentre qualcosa di simile, da parte russa, potrebbe accadere solo in seguito al rovesciamento del regime attuale – cosa che sembra per il momento improbabile, anche se non ho le competenze per valutare la situazione interna russa.

    È poi doveroso aggiungere: i russi hanno commesso crimini di guerra che rendono ancora più arduo il cammino verso la pace. (Chi dice “eh sì ma anche gli ucraini…” non sa di cosa parla. Non voglio fare polemiche inutili: probabilmente anche dei soldati ucraini hanno commesso e stanno commettendo in queste ore crimini di guerra, passando per le armi prigionieri russi, e non sono giustificabili: ma le stragi di civili in territorio ucraino, ormai ampiamente documentate, sono qualitativamente e quantitativamente su un piano diverso.) È una questione apparentemente secondaria dal punto di vista militare, ma che scava una voragine tra ucraini e russi. La guerra di Putin in Europa (e all’Europa) ha portato a questo: due popoli fino a pochi mesi fa geograficamente confinanti e culturalmente vicini, sono adesso divisi da violenza e odio che non si placheranno per generazioni.

    Rispetto il conflitto, secondo te, l’America cosa si aspetta nei prossimi mesi? Ci sono possibilità per una soluzione diplomatica o si prospetta una lunga guerra di logoramento?
    Si è parlato tanto della guerra iniziata il 24 febbraio con l’invasione russa come di una proxy war combattuta dagli ucraini per conto degli USA. È una visione distorta: gli Stati Uniti, anche se stanno traendo oggettivamente alcuni vantaggi economici, politici e militari dal conflitto, si sono limitati a sfruttare un clamoroso errore di valutazione commesso da Putin, badando bene a non provocare un’escalation incontrollabile (a chi li accusa di aver soffiato sul fuoco, bisognerebbe ricordare che non hanno inviato aerei, né carri armati, né missili a lunga gittata).

    Gli Stati Uniti, a questo punto, credo si aspettino soprattutto alcuni vantaggi strategici: un ulteriore consolidamento e ampliamento della NATO (Svezia e Finlandia), oltre a un aumento delle spese militari europee, che li metta in grado di concentrare la loro attenzione sull’Estremo Oriente; probabilmente auspicano anche una sconfitta russa sul campo tanto chiara da ridimensionare le ambizioni di Mosca per i prossimi decenni, ridisegnando gli equilibri nello Heartland a loro favore (penso ad alleanze con varie repubbliche dell’Asia Centrale). Quindi la soluzione diplomatica, dal punto di vista di Washington, è auspicabile solo una volta raggiunti questi obiettivi. Alcuni già a portata di mano (il rafforzamento della NATO), altri all’orizzonte.

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