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    Ritrovata una città maya sepolta nella giungla del Guatemala

    Resti maya nella foresta di Petén, in Guatemala. Credit: Pixabay

    Nel territorio guatemalteco della foresta di Petén la densa crescita della vegetazione ha protetto il nucleo inabitato dalle invasioni straniere

    Di Camilla Palladino
    Pubblicato il 6 Feb. 2018 alle 12:27 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 11:08

    Nei primi giorni di febbraio 2018 è stata diffusa la notizia della scoperta di centinaia di costruzioni maya nella densa giungla del dipartimento di Petén, in Guatemala.

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    È stato possibile rintracciare la città nascosta grazie agli strumenti altamente tecnologici utilizzati oggi dagli archeologi, che hanno permesso di vedere i resti delle costruzioni maya nonostante la densità della vegetazione.

    Ad annunciare la novità è stato un gruppo di ricercatori degli Stati Uniti, europei e guatemaltechi che hanno lavorato in collaborazione con la Maya Heritage and Nature Foundation del Guatemala, e hanno ritrovato case, edifici, costruzioni di difesa e piramidi.

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    Chi erano i maya?

    I maya erano una popolazione indigena dell’America Centrale, che costruì le sue prime città tra il 750 a.C. e il 500 a.C., occupando il territorio dell’attuale Guatemala, del Belize, parti dell’Honduras e di El Salvador.

    Questa regione è costituita dalla penisola dello Yucatán, dagli altopiani della Sierra Madre e dalle pianure meridionali del litorale del Pacifico.

    I maya si distinguevano dalle altre popolazioni indigene  per la loro indole pacifica e artistica, per la raffinatezza architettonica, per gli approfonditi sistemi matematici e astronomici, e per il metodo di scrittura – l’unico noto tra tutte le civiltà precolombiane.

    Questa civiltà, evoluta e sviluppata nei sistemi agricoli ed economici, sopravvisse in un clima piuttosto sereno e privo di guerre per gran parte della sua esistenza, perlomeno fino all’arrivo di Cristoforo Colombo nel Nuovo Mondo, fino alla colonizzazione spagnola e alla distruzione di interi villaggi e famiglie.

    Gli sbarchi sulle coste dello Yucatán cominciarono a partire dal 1511, ma il territorio fu sottomesso definitivamente solo nel 1548.

    Mentre l’ultima città Maya rimasta indipendente, Tayasal, nel Guatemala, cadde definitivamente in mano spagnola nel 1697.

    Nell’epoca post-colombiana vennero effettuati veri e propri genocidi nei confronti delle popolazioni che abitavano i territori dell’America, e di conseguenza vennero  abbandonate le città e le costruzioni indigene.

    Ad oggi ancora esistono dei discendenti dei maya che vivono nella regione del Guatemala.

    La scoperta

    Gli archeologi hanno dunque scoperto che ad abitare le pianure dei maya, dovevano essere circa 10 milioni di indigeni, molti di più di quanto fosse mai stato calcolato negli altri studi in materia.

    “Si tratta del doppio o del triplo di abitanti in più rispetto a quanto credevamo”, ha detto Marcello A. Canuto, professore di antropologia alla Tulane University di New Orleans.

    Il che significa che probabilmente le tecniche agricole e della produzione del cibo furono più massicce, sviluppate e consistenti di quanto si fosse creduto finora.

    Le nuove immagini, dunque, mostrano che i maya occuparono e utilizzarono il loro territorio in una maniera molto più ampia, coltivando il 95 per cento del terreno che avevano a disposizione.

    Inoltre le estese recinzioni difensive, i sistemi di fossati e rampe, e i canali di irrigazione suggeriscono una forza lavoro altamente organizzata.

    Lo strumento utilizzato

    La tecnologia usata per arrivare a una simile scoperta è stata una tecnica di mappatura chiamata LiDAR, che sta per Light Detenction and Ranging, che rimbalza la luce laser pulsata da terra, rivelando i contorni nascosti dalla densa vegetazione della foresta.

    Grazie a LiDAR, è stato possibile ritrovare 2.100 chilometri quadrati di mappatura, in cui sono state rilevate circa 60.000 strutture individuali, inclusi quattro dei principali centri cerimoniali maya, con piazze e piramidi.

    Infatti, mentre nei territori delle altre civiltà indigene gli edifici, le strade e le case vennero distrutte dalle costruzioni degli abitanti successivi, nel territorio occupato dalla foresta di Petén la densa crescita della vegetazione ha protetto il nucleo inabitato dalle invasioni straniere.

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