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    Catalogna: che valore ha un referendum né legale né rappresentativo?

    L'opinione di Carlo Brenner sul referendum in Catalogna, privo dei requisiti minimi di legalità e rappresentatività, e pertanto discutibile nel suo esito

    Di Carlo Brenner
    Pubblicato il 13 Ott. 2017 alle 17:14 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:02

    Il referendum catalano è illegale. Il Tribunale costituzionale lo ha comunicato al governo della regione che, pertanto, non aveva competenza per organizzarlo.

    In Catalogna il governo presieduto da Carles Puigdemont si è molto lamentato delle brutalità compiute dallo stato spagnolo (foto), ma in realtà quest’ultimo è stato fin troppo blando: non ha applicato, ancora, l’articolo 155 della Costituzione, che gli permetterebbe di prendere immediatamente il controllo della regione, e nemmeno la legge di sicurezza nazionale, che gli consentirebbe di avocare a sé tutte le forze di polizia.

    Considerata l’illegalità del referendum, bisogna anche ripesare la rappresentatività del suo risultato. Pare evidente che, il giorno del voto, la popolazione della Catalogna fosse divisa in due: chi era pro-referendum e chi era contro. I primi erano anche gli unici convinti della legittimità della consultazione.

    Questa considerazione porta a pensare che gli “astenuti” possano in larga parte considerarsi come degli impliciti “no” all’indipendenza: perché una persona convinta dell’illegalità di una consultazione avrebbe dovuto presentarsi alle urne?

    In ogni caso, proviamo a prendere il risultato per buono: considerando che l’affluenza alle urne dei 5.360.000 catalani aventi diritto è stata del 42,2 per cento per cento, ciò significa che a votare sono state 2.262.000 persone.

    Tra queste il 90 per cento si è espresso per il Sì e il 7,8 per il No. Sottraendo i No e facendo il calcolo sul totale degli aventi diritto, risulta che il 38,9 per cento ha votato per l’indipendenza. E il restante 61,1 per cento? Se consideriamo che anche solo una parte di questi non sia andata a votare per rispetto delle indicazioni di Madrid, il risultato appare già viziato.

    Il 1 ottobre molti cittadini catalani si saranno svegliati con questo dubbio: devo dar retta al governo centrale o a quello catalano? Oltre a questo aspetto, che già di per se inficia l’esito, bisogna considerare che la procedura di voto si è svolta, malgrado le migliori intenzioni degli organizzatori, in maniera non regolare.

    Gli interventi della Guardia Civil hanno costretto alcuni seggi a spostarsi, a far votare la gente per strada, il voto telematico è proseguito oltre la chiusura dei seggi, l’identificazione del votante era fatta attraverso un’applicazione online che, nel pomeriggio, ha smesso di funzionare.

    Potenzialmente, quindi, una persona potrebbe aver votato più volte, così come potrebbero aver espresso la loro preferenza anche persone non iscritte alle liste elettorali (ad esempio i turisti).

    Tutto questo, ripeto, malgrado l’ottima organizzazione e le buone intenzioni degli organizzatori. In conclusione, il referendum per l’indipendenza della Catalogna non può essere considerato una reale espressione di voto del popolo catalano: non era legale e, comunque, il risultato non è rappresentativo.

    Lo si potrebbe considerare una pittoresca e coreografica manifestazione pro indipendenza, questo sì, ma nulla di più. Quello che mi interessa capire è, quindi, cosa abbia portato molti catalani a una presa di posizione così forte.

    I partiti e le associazioni pro indipendenza che hanno organizzato il referendum sono stati molto abili. Attraverso un lavoro intenso e ben organizzato durato anni sono riusciti a instillare il sentimento della secessione negli animi di diverse categorie di cittadini: la trasversalità e l’eterogeneità delle persone coinvolte ha colpito tutti gli osservatori.

    Ma chi ha permesso che la visione di questi partiti e associazioni potesse prendere piede? Il buonismo e la mediocrità che caratterizzano la maggior parte della politica europea.

    Questi sono gli elementi alla base del percorso che ha portato al referendum illegale per l’indipendenza della Catalogna. Non si può non notare che viviamo in un periodo contrassegnato da idee evanescenti, estemporanee e confuse.

    Ci manca il coraggio di dedicarci completamente ad un progetto. Per questo siamo vulnerabili di fronte a chi, in questo caso i catalani, appare molto deciso nelle sue pretestuose prese di posizione sulle ragioni storiche della propria indipendenza.

    Tutti gli stati moderni sono invenzioni arbitrarie. Comprese la Spagna e la Catalogna. La Spagna moderna è nata dal matrimonio tra Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia nel 1469 e la sua attuale monarchia, quella dei Borbone di Spagna, inizia con la guerra di successione spagnola all’inizio del 1700.

    Si chiama “di successione” perché era una guerra per la successione al trono dopo la morte di Carlo II di Asburgo, che non avendo eredi aveva nominato suo successore Filippo V, un nipote di Luigi XIV di Francia.

    Alla fine del ‘600 l’egemonia sull’Europa era contesa tra Inghilterra e Francia. Se la Spagna fosse finita sotto l’orbita di influenza francese, questo avrebbe alterato gli equilibri di potere sul continente: per questo ci fu una guerra che vide coinvolti gran parte dei regni europei.

    In Catalogna, ancora oggi, l’11 settembre si festeggia la Diada, il giorno in cui, nel 1714, Filippo V ha conquistato la regione. I catalani però festeggiano l’eroismo della loro resistenza contro l’oppressore e non l’unione al resto del paese.

    La festa è stata istituita a fine ‘800, arbitrariamente, come pretesto per richiedere l’indipendenza. Questo piccolo excursus sulle origini della Spagna mi serve per far notare che anche questo paese, come gli altri, è nato da lotte di potere delle famiglie regnanti e non da moti popolari, passioni, tradizioni, verità ancestrali.

    Non esiste la “vera” origine di un popolo, il caso crea le opportunità e spesso le passioni vengono instillate a tavolino nel cuore delle persone.

    Esattamente come è successo con i partiti e le associazioni che hanno organizzato il referendum. Nel momento in cui realizziamo che tutto è arbitrario ci rendiamo anche conto che l’unica cosa importante è prendere una posizione.

    Oggi, adesso, per il futuro. A me non interessano le fantasmagoriche ragioni degli indipendentisti. La Catalogna mi preoccupa solo perché, se dovesse avere successo, accenderebbe una miccia che potrebbe facilmente propagarsi altrove.

    In Italia dovremmo fare i conti con la lega Nord, che non manca di ricordarci che i padani hanno origini celtiche.

    Oggi esiste un solo obiettivo per il vecchio continente: l’Europa. Non abbiamo bisogno di trovare una ragione storica, di ritrovare qualcuno che nel passato abbia detto per la prima volta “Europa”, o “una battaglia per l’Europa”. Non è questo che ci interessa.

    L’Europa è un progetto per il futuro, è basato su un’idea comune di progresso, diritti, organizzazione statale, è il modo in cui la nostra parte del mondo può tornare a contare, ad avere un ruolo geopolitico, a non farsi schiacciare da est e da ovest.

    È una decisione che prendiamo oggi per i giorni a venire. Ma qualunque decisione si prenda è sempre importante ricordare, per nostra chiarezza mentale, che è una decisione arbitraria, che non esiste una “verità”, e che quindi è inutile cercarla.

    Esistono solo obiettivi per il futuro e la frammentazione non fa parti di questi. Tutti i vari indipendentismi muovono nella direzione opposta, allontanandoci quindi dai traguardi di lungo termine, quelli che dobbiamo perseguire con dedizione e costanza.

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