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    Thailandia, la ragazza saudita scappata dalla famiglia ha ricevuto asilo politico in Canada

    Rahaf Mohammed al-Qunun

    La ragazza ha avuto l'asilo provvisorio in Thailandia ed è sotto la protezione dell'Unhcr

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 11 Gen. 2019 alle 16:50 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:25

    La ragazza saudita fuggita dalla sua famiglia e barricatasi in una stanza di albergo di Bangkok, in Thailandia, ha ricevuto asilo politico in Canada.

    La notizia è giunta l’11 gennaio 2019, dopo che l’Unhcr aveva assunto la supervisione del caso: la ragazza rischiava di essere portata con la forza in Arabia Saudita, ma la Thailandia, dopo numerose pressioni internazionali, le aveva concesso asilo temporaneo.

    Rahaf Mohammed al-Qununinizialmente aveva chiesto di andare in Australia, per poi dirigere la sua richiesta al Canada, da mesi ai ferri corti con la monarchia di Riad. 

    La vicenda – “Mi vogliono uccidere, la mia vita è in pericolo, la mia famiglia minaccia di uccidermi per i motivi più banali”.

    Questo è il grido di aiuto di una ragazza saudita di 18 anni, Rahaf Mohammed al-Qunun, che il 7 gennaio si era barricata in una camera d’albergo di Bangkok in Thailandia.

    La ragazza, fermata sabato 5 gennaio mentre cercava di imbarcarsi su un volo per l’Australia dove aveva intenzione di chiedere asilo, ha denunciato la propria condizione su Twitter.

    Era riuscita a scappare mentre si trovava in Kuwait con la famiglia, ma i funzionari dell’ambasciata saudita sono riusciti a rintracciarla e a sequestrarle il passaporto.

    Dopo le pressioni delle Nazioni Unite e anche a causa del clamore mediatico che la vicenda aveva generato, il governo thailandese aveva concesso l’asilo temporaneo alla ragazza, secondo quanto annunciato dal responsabile dell’immigrazione Surachate Hakparn, che ha precisato che Rahaf si trova “sotto la supervisione dell’Unhcr”.

    La ragazza ha poi chiesto al governo del Canada asilo politico.

    La fuga dalla famiglia – In un video postato sui social network, la giovane ha raccontato la sua storia, spiegando di non avere intenzione di lasciare la camera nella quale si era barricata finché non le fosse stato consentito di parlare con funzionari delle Nazioni Unite.

    La 18enne ha raccontato di essere riuscita a scappare dai parenti durante una visita in Kuwait insieme alla famiglia: mentre in Arabia Saudita una donna ha infatti bisogno del consenso di un familiare maschio per espatriare, in Kuwait non vige questa regola, e quindi lei ne ha approfittato per imbarcarsi su un volo per l’Australia. Durante lo scalo a Bangkok, però, è intervenuta l’ambasciata saudita che le ha sequestrato il passaporto.

    La giovane ha anche accusato i familiari di essere responsabili di abusi fisici e psicologici nei suoi confronti: “I miei genitori sono molto rigidi, e mi hanno chiuso nella mia camera per sei mesi solo per essermi tagliata i capelli – ha raccontato la ragazza -. Sono sicura al 100 per cento che mi uccideranno quando uscirò dalla prigione saudita” dove sarà rinchiusa se dovesse essere rimpatriata.

    L’appello della ragazza era stato accolto dall’Ong Human Rights Watch, che aveva chiesto alle autorità di Bangkok di fermare il rimpatrio della giovane; anche l’ambasciatore tedesco in Thailandia, Georg Schmidt, al quale Rahaf Mohammed al-Qunun si era rivolta, aveva promesso di restare in contatto con le autorità locali.

    La versione del dipartimento di ‘immigrazione tailandese è stata però diversa: secondo i funzionari la donna era in attesa “di imbarcarsi” su un volo della Kuwait Airlines per l’Arabia Saudita, con scalo in Kuwait. L’account Twitter della giovane donna, che è stato aggiornato da una terza persona, assicurava invece che Rahaf si trovava ancora nella sua stanza. 

    Nel mentre, un avvocato tailandese ha presentato un appello per impedire l’estradizione della 18enne saudita.

    “In caso di sospetta detenzione illegale, possiamo chiedere al tribunale di decidere (sull’estradizione)”, aveva detto all’agenzia di stampa Afp l’avvocato Nadthasiri Bergman poco dopo aver presentato l’appello.

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