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    Che cosa resta nell’inferno del Sud Sudan, dopo quattro anni di conflitto

    Credit: Amref

    Dal 15 dicembre 2013 il paese è attraversato da una violenta guerra civile. Decine di migliaia di persone sono state uccise e altre migliaia hanno subito violenza sessuale

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 16 Dic. 2017 alle 17:08 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 08:47

    Il Sud Sudan è un paese martoriato, devastato da quattro anni di conflitto interno che hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione civile.

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    Staccatosi nel 2011 dal Sudan a seguito di un referendum che chiedeva l’indipendenza della zona meridionale a fortissima maggioranza cristiana, il Sud Sudan, il più giovane stato africano, è entrato dal 2013 nel vortice della guerra civile e non riesce più a uscirne.

    Dal 15 dicembre 2013, decine di migliaia di persone sono state uccise e altre migliaia hanno subito violenza sessuale.

    Migliaia di uomini, donne e bambini sono stati sottoposti ad atti di violenza inimmaginabili da parte sia delle forze governative che di quelle dell’opposizione, in alcuni casi equivalenti a crimini di guerra o crimini contro l’umanità.

    Nel corso del conflitto, giornalisti, difensori dei diritti umani e sostenitori dell’opposizione sono stati intimiditi, arrestati arbitrariamente e in alcuni casi torturati, mentre agli operatori umanitari è stato impedito di portare avanti il loro lavoro.

    Wau è la seconda città del paese per numero di abitanti, è situata sulla riva ovest del fiume Jur. Wau è la città che ha vissuto una vera e propria esplosione di violenza nell’aprile e nel maggio 2017.

    “Ciò che colpisce di più camminando lungo le sue strade e tra i vicoli del Campo di Protezione AA, è il numero di bambini, anche piccoli, che si dedicano ad attività commerciali. Vendono di tutto: dalla carbonella alle noccioline, dalla frutta al pesce, con apparente senso di responsabilità molto elevato”.

    Queste parole giungono da Tommy Simmons, fondatore di Amref Health Africa – Italia. L’organizzazione umanitaria è impegnata dal 1972 a sostenere la ricostruzione del sistema sanitario, per assicurare la promozione della salute attraverso l’incremento dell’accesso ai servizi sanitari di base.

    Credit: Amref

    “Si stima che più di 65.800 sfollati interni abbiano trovato riparo in più località della di Wau. Circa il 60 per cento di essi si sono rifugiati presso il campo delle Nazioni Unite. I numeri sono in costante aumento e tra i più vulnerabili risultano donne e bambini. Una stima parla di oltre 100mila persone in arrivo, nei prossimi mesi, sempre nell’area di Wau”, riporta Amref.

    A Wau l’offerta di sanità è essenziale perché più che altrove la salute è sempre sotto minaccia.

    La malnutrizione infantile è diffusa, la malaria stagionalmente dirompente, la tubercolosi, l’hiv, le malattia polmonari, i rischi legati all’acqua contaminata, sono una minaccia continua.

    A sentire il peso di un ambiente nel quale nessuno ha scelto di vivere sono soprattutto le donne e i bambini più piccoli.

    Credit: Amref
    Credit: Amref

    Dal 2011, Amref ha fornito servizi medici, chirurgici, anestetici e infermieristici essenziali a 14 ospedali nei dieci Stati del Sud Sudan, realizzando circa 4 interventi ogni anno in ogni ospedale, da personale per il 97 per cento di origine africana.

    Secondo alcune stime sono 1,8 milioni gli sfollati interni nel Sud Sudan, mentre oltre 6 milioni di persone necessitano di assistenza urgente. 

    Le baracche degli sfollati sono anguste, buie, basse ed affollate. Ci sono famiglie di dieci persone che vivono in un pugno di metri quadri dove è necessario svolgere tutta la propria vita: dormire, mangiare, anche mantenere un’attività commerciale come caricare le batterie dei telefoni dei vicini.

    Credit: Amref

    Questo popolo di 40mila persone deve vivere accalcato in uno dei campi più affollati del mondo, stipati dentro ad un reticolato che misura 400 metri per 500, con a disposizione 5 metri quadri di spazio vitale a testa per vivere, mangiare, dormire, accedere ai servizi essenziali.

    Credit: Amref

    Nei campi, dove la gente si è precipitata alla rinfusa, i tradizionali meccanismi di sostegno sociale e famigliare sono saltati, e quasi tutti si sono ritrovati come vicini gente sconosciuta, spesso di un’etnia diversa, e oltre al peso di aver perso tutto: la casa, la terra, la vita quotidiana, un’idea del futuro.

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