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    La principessa soldato che divenne una spia giapponese

    Figlia di un principe Manciù, sfidò i ruoli di genere e vantò numerose imprese militari da principessa-spia. L'incredibile storia di Yoshiko Kawashima

    Di TPI
    Pubblicato il 9 Set. 2015 alle 12:10 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:30

    Yoshiko Kawashima era la quattordicesima figlia di un principe della Manciuria, una regione che oggi si trova nel nordest della Cina, al confine con la Russia.

    Nel 1915, all’età di 8 anni, Yoshiko fu inviata dal padre – un nostalgico della grande dinastia Qing che governò la Cina da metà del 1600 ai primi anni del Novecento – a un proprio alleato giapponese come gesto di riconoscenza.
    Yoshiko si ritrovò quindi a passare la propria infanzia in Giappone, con un nuovo padre adottivo ultranazionalista e appassionato di armi che la introdusse in un ambiente violento e filo-militare. L’uomo abusò sessualmente della ragazza e la presentò anche a diversi compagni, i quali non perdevano occasione per corteggiarla.

    Fu però proprio durante questo periodo che la principessa – nel tentativo di allontanare le esperienze negative vissute con il padre adottivo – decise di tagliarsi i capelli e cominciare a vivere come un uomo.

    Inseguendo quella che era la speranza del padre biologico, ossia la restaurazione dell’impero Qing, decise di diventare la paladina dei manciù e vendicare le persecuzioni del governo cinese contro i membri dell’impero da poco decaduto.

    Nel 1929, ammise in un’intervista che era nata con ciò che i dottori chiamavano “tendenza al terzo sesso”, e che quindi non poteva comportarsi come tutte le altre donne.

    Yoshiko non vide quindi altra soluzione se non allinearsi con l’esercito giapponese e diventare una spia durante quella che divenne la Seconda guerra sino-giapponese. Molte storie sono state raccontate sul suo conto – alcune delle quali nel libro Manchu Princess, Japanese Spy – dalla biografa e scrittrice Phyllis Birnbaum.

    La sua figura divenne famosa in tutto il mondo per la partecipazione in guerra contro la Cina. Le storie sul suo conto si alimentarono, e Yoshiko non faceva nulla per nascondere la propria controversa personalità. Lo stesso New York Times, nel 1933 ne parlava definendola “una pittoresca figura da film drammatico, mezzo maschiaccio e mezza eroina”. Anche per questo motivo venne soprannominata la Giovanna d’Arco dei Manciù. Il prezzo da pagare fu però molto caro: alla fine della guerra, vinta dai cinesi, la principessa venne giustiziata perché dichiarata traditrice a causa della sua collaborazione con il Giappone.

    Le controversie sul suo conto non si limitavano però semplicemente al suo ruolo di spia del nemico, ma riguardavano anche la sua discussa identità di genere, andando così a toccare la sua sfera più intima e privata.
    E proprio sulla sua identità di genere si è soffermata l’autrice Phyllis Birnbaum: “La sua identità femminile era probabilmente un problema per lei, ma allo stesso momento si vestiva e comportava come gli uomini per fare ciò che era proibito alle donne”.

    “A volte si presentava vestita da uomo e accompagnata da una donna dicendo che era la propria moglie, altre volte sbandierava le sue relazioni amorose con degli uomini. Se probabilmente fosse vissuta in un’altra epoca, sarebbe stata libera di esprimere veramente i propri sentimenti”, ha affermato l’autrice al magazine del New York Times, Women in the World.

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