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    Turchia, le atrocità della polizia di frontiera al confine con la Siria

    Negli ultimi due mesi almeno 5 richiedenti asilo in fuga dalla Siria sono stati uccisi dalle forze di sicurezza turche mentre cercavano di entrare in Turchia

    Di TPI
    Pubblicato il 11 Mag. 2016 alle 16:14 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:44

    Negli ultimi due mesi – tra marzo e aprile 2016 – il confine turco-siriano con i suoi 900 chilometri di lunghezza è stato teatro di numerose violenze compiute dalle guardie di frontiera turche ai danni dei richiedenti asilo siriani, che hanno tentato in ogni modo di raggiungere la Turchia.

    La denuncia giunge da Human Rights Watch, che ha accusato il governo di Ankara di “un uso eccessivo della forza” contro i rifugiati e i trafficanti di esseri umani che nel periodo di riferimento, tra gli inizi di marzo e la fine di aprile, ha causato la morte di cinque persone, tra cui un bambino, e il ferimento grave di altre 14. I dati sono stati resi noti dal rapporto diffuso martedì 10 maggio.

    “I funzionari del governo turco sostengono da una parte di accogliere i rifugiati siriani a braccia aperte, attraverso una politica distensiva delle frontiere aperte, ma dall’altra le sue guardie di frontiera non sono immuni dall’uso della forza. Non sono mancati episodi di violenze e di percosse da parte loro verso i rifugiati, e a volte anche pallottole”, ha raccontato un portavoce dell’organizzazione. “Sparare a uomini traumatizzati, a donne e bambini in fuga da combattimenti e da guerre è veramente spaventoso”. 

    Sono numerose le testimonianze raccolte da Human Rights Watch in proposito, pubblicate sul report. “Siamo fuggiti da Aleppo dopo i ripetuti bombardamenti”, ha raccontato Abdullah, che ha lasciato la Siria a fine marzo insieme ad altre venti persone della sua famiglia.

    “Le guardie di confine al valico di Bab al-Salameh, non ci lasciavano passare, ci siamo rivolti a un contrabbandiere che ci ha portati più vicini, ma abbiamo ricevuto una scarica di colpi. Con i nostri corpi abbiamo protetto i bambini, ma mia sorella e mio cugino di fianco a me sono stati colpiti. Ho capito subito che erano morti”.

    Un proiettile ha colpito la mano destra dell’uomo e nella sparatoria sono rimasti feriti anche alcuni suoi familiari, tra cui un cugino e i suoi figli di nove e cinque anni. “Tutto è durato un’ora, all’incirca, siamo rimasti immobili per tutto il tempo, poi uno dei poliziotti ci ha parlato dal muro attraverso un altoparlante e ci ha dato 15 minuti di tempo per spostare i corpi. Dopo di che avrebbe ricominciato a sparare”. 

    Molti degli incidenti, secondo quanto riferito dall’organizzazione non governativa, sono avvenuti nei pressi del valico di Khurbat al-Juz-Guvecci, a circa 50 chilometri a sud della città turca di Antakya. 

    Tuttavia, il governo turco che al momento ospita entro i suoi confini 2,7 milioni di rifugiati siriani in 26 campi, di cui 15 allestiti lungo il confine, ha negato ogni accusa. Ma non è la prima volta che Human Rights Watch rivolge delle accuse alla Turchia per il trattamento riservato ai migranti siriani.

    “Eravamo sette persone: tre erano scappate da Duryia e quattro da Aleppo. Avevamo raggiunto una valle chiamate al-Nabua, quando improvvisamente hanno iniziato a spararci”, ha raccontato un altro ragazzo a cui è stato ucciso il cugino di 13 anni.

    “Mio cugino è caduto giù dopo un colpo alla testa. Io ero accanto a lui. Abbiamo chiamato il sindaco di Karbeyaz e abbiamo chiesto ai soldati di smettere di sparare. Ci hanno detto che chiunque si fosse avvicinato al confine sarebbe stato ucciso. Dopo molte insistenze ci hanno permesso di prendere il corpo”.

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