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    Dopo l’accordo sul nucleare, tutti fanno a gara per il petrolio iraniano

    Con l'allentamento delle sanzioni verso l'Iran, c'è in ballo un tesoro da 800 miliardi di dollari. In prima fila il colosso russo del petrolio Lukoil

    Di TPI
    Pubblicato il 22 Nov. 2015 alle 13:57 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:07

    In seguito allo storico accordo sul nucleare iraniano e all’allentamento delle sanzioni internazionali verso l’Iran, nei prossimi cinque anni potrebbero aprirsi grandi occasioni per le multinazionali estere impegnante nei settori dell’energia, della ricerca, dell’informatizzazione e, più in generale, dei servizi. 

    Mentre Mosca rovescia sulla Siria centinaia di ordigni esplosivi, gli emissari del secondo gigante petrolifero russo, Lukoil, con quasi 150 miliardi di dollari di fatturato, dichiarano di essere ormai prossima a siglare un accordo di ampio raggio con l’Iran.

    Il contratto prevederebbe non solo la produzione e la raffinazione del petrolio ma anche l’avvio di esplorazioni su grande scala. D’altra parte, le ambizioni russe sul greggio iraniano sono antiche più o meno quanto l’emergere del regime degli Ayatollah. La novità è che ora si parlerebbe di centinaia di miliardi di dollari, all’incirca 800.

    Naturalmente, molto, se non tutto, dipenderà da chi per primo occuperà una sedia al tavolo delle negoziazioni. I più rapidi prenoteranno le posizioni migliori in un mercato, quello iraniano, traducibile in 80 milioni di persone, ovvero potenziali consumatori, alfabetizzati, informatizzati e piuttosto inclini all’uso di internet e social media inclusi. 

    Se poi si aggiungono i milioni di barili di petrolio che Teheran esporta e i miliardi di metri cubi di gas naturale che custodisce, allora si comprende perché il Paese attira l’attenzione di grandi compagnie internazionali.

    La riforma del fisco 

    In aggiunta, è arrivata anche la tanto annunciata riforma del fisco. Questa determinerà per gli investitori esteri la cancellazione di una serie di penalizzazioni e oneri fiscali che, di fatto, li sfavorivano.

    Alcune misure specifiche dovrebbero ristabilire un regime di tassazione mettendo quasi sullo stesso piano compagnie estere e imprese a partecipazione statale, parzialmente gestite da lobby e organizzazioni para-religiose legate alle gerarchie iraniane. 

    Le misure fiscali con le quali l’Iran ambirebbe ad aprirsi ai capitali occidentali porterebbero nel Paese almeno 100 i miliardi di dollari nel prossimo biennio. Questa la cifra stimata per rimettere in corsa e in salute l’economia del Paese, stremato dalle sanzioni, dal ribasso del prezzo del greggio, da 35 anni di chiusura e di una pessima gestione delle ricchezze nazionali.

    In pratica, due i pacchetti fiscali sul tavolo: il primo prevede la privatizzazione di una parte consistente del settore petrolchimico e degli impianti di raffinazione, mente il secondo fissa i tempi per l’adozione di misure fiscali ad hoc disegnate ad attirare i capitali internazionali, soprattutto nel settore high-tech.

    Il fisco strizza l’occhio a occidente 

    Le società estere che opteranno per un programma di investimenti, per esempio, nella costruzione di centri di ricerca per lo sviluppo o ad alto contenuto tecnologico, beneficeranno di una lunga serie di agevolazioni fiscali. 

    Innanzitutto verranno introdotti incentivi fiscali in proporzione ai costi sostenuti per l’avvio e la gestione delle attività di ricerca. Per questo sarebbero già stati stanziati un miliardo di dollari.

    Alle società internazionali sarebbe, inoltre, consentito di beneficiare del medesimo trattamento di favore di cui godono le aziende di Stato e private iraniane.

    Fino ad ora questa discriminazione aveva contribuito alla limitata penetrazione di attori internazionali all’interno del mercato domestico iraniano.

    Teheran riduce la dipendenza dal greggio

    Il recente bollettino sulle entrate iraniane riporta, per la prima volta da decenni, che il gettito fiscale ha superato la soglia del 50 per cento, superando quindi gli importi legati alla produzione e all’esportazione di greggio e gas naturale.

    Un’inversione che dovrebbe, per i responsabili dell’economia iraniana, rendere palese l’obiettivo futuro del governo, allentare la dipendenza dell’economia dal petrolio. Operazione questa reputata impossibile fino a qualche mese fa.

    L’Europa stenta ma l’Iran val sempre una messa 

    La Russia si è già mossa, anche in modo fragoroso, certo non silenziato. L’Asia, Cina in testa, ha anch’essa provveduto a prenotarsi un posto di rilievo sul mercato iraniano, aprendo i negoziati per l’aumento dell’import di petrolio dal Paese.  

    Gli Stati Uniti osservano, ma sono già pronti a stringere accodi economici con l’Iran. 

    E Bruxelles? Non pervenuta, eccetto la mossa a sorpresa del colosso francese del petrolio Total, che ha già stretto le mani agli Ayatollah siglando alcuni accordi. Parigi si muove in splendida autonomia, mentre l’Unione europea riflette e pensa.

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