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    Lo spettro della Grexit si riaffaccia sull’Europa

    Sulla crisi greca si spacca il fronte dei creditori costituito da Bce, Fmi e Ue. E a un anno dal referendum si torna a parlare di uscita dall'euro

    Di Mario Messina
    Pubblicato il 15 Feb. 2017 alle 13:30 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 19:41

    La storia si ripete. A un anno e mezzo dal referendum con il quale i cittadini greci rifiutarono le proposte della Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Unione europea per risanare le finanze elleniche, oggi si torna a parlare del pericolo Grexit.

    Lunedì 20 febbraio 2017 l’Eurogruppo – la riunione dei ministri delle finanze dell’Eurozona – tornerà a occuparsi della crisi greca e saranno presentate al governo Tsipras le richieste dei creditori in cambio della seconda tranche di prestiti del piano di salvataggio della Grecia. Non è detto che il governo greco accetti le richieste della Troika e molti – ad Atene come a Bruxelles – si preparano a una possibile fuoriuscita della Grecia dall’euro.

    La storia inizia ad agosto 2015 quando il governo Tsipras decide di firmare un accordo per il salvataggio del paese, il terzo dall’inizio della crisi nel 2009, nonostante il No dei greci al referendum. Il piano triennale – che prevede un prestito di 86 miliardi di euro – è arrivato oggi alla sua seconda fase. In cambio dello sblocco dei prestiti, alla Grecia saranno chiesti tagli alle pensioni e la riduzione del limite di esenzione fiscale. Un’altra botta di austerità, quantificata in 3,6 miliardi di euro.

    
Per la prima volta dall’inizio della crisi greca il fronte della Troika – Bce, Fmi e Ue – sembra presentarsi spaccato.

    Il Fmi guidato da Christine Lagarde aveva chiesto ai paesi dell’Eurozona di tagliare il debito greco, che supera il 170 per cento del Pil nazionale, poiché in disaccordo con alcune richieste europee sul surplus primario ellenico. In passato il Fmi aveva ammesso clamorosi errori nella gestione della crisi greca e, pur chiedendo ulteriori tagli alla spesa, oggi ritiene necessaria la ristrutturazione del debito.

    I creditori europei – Germania e Olanda in primis – non sono disposti a parlarne e hanno già alzato le barricate. Il rischio è che, qualora non si arrivi a un accordo tra Europa e Fmi, quest’ultimo possa tirarsi indietro dal salvataggio lasciando tutto nelle mani di Bruxelles. In questo caso, l’approvazione di ulteriori prestiti potrebbe non trovare il parere favorevole dei parlamenti dei paesi creditori e ciò porterebbe all’apertura di una profonda crisi che, in ultima istanza, spingerebbe la Grecia fuori dalla moneta unica.

    Per scongiurare il pericolo Grexit sarà necessario che le parti trovino un’intesa entro la riunione dell’Eurogruppo del 20 febbraio.

    Gli europei e il Fondo sembrano aver raggiunto un accordo. La proposta attualmente sul piatto prevede lo scatto delle clausole di salvaguardia – taglio alle pensioni e aumento della base imponibile – qualora la Grecia non riuscisse a raggiungere, come prevede l’Europa, l’obiettivo di un avanzo primario al 3,5 per cento, obiettivo ritenuto irrealizzabile dal Fmi. Ora sta alla Grecia decidere se accettare o meno le richieste.

    “L’Europa non può permettersi di scherzare con il fuoco”, ha dichiarato il premier Alexis Tsipras, rassicurando i greci sul fatto che non accetterà nuove misure di austerità. Tsipras deve fare i conti con le richieste dei creditori da una parte e con i membri del proprio governo dall’altra, spaccati tra chi, come il ministro delle finanze Eukleidis Tsakalotos, spinge verso l’accordo e chi invece preferisce prender tempo.

    Tsakalotos vede l’accordo come il minore dei mali, vista l’urgenza di calmare i mercati e la necessità di pagare 7 miliardi di euro per bond in scadenza entro luglio. Altri invece, temendo le ripercussioni elettorali di tale accordo, preferiscono attendere sfruttando l’imminenza delle elezioni politiche in Olanda e Francia dove i partiti populisti sono in vantaggio su quelli tradizionali. In questo modo sperano che il timore per le sorti dell’Europa possa convincere i creditori più intransigenti ad accettare misure meno repressive.

    — LEGGI ANCHE: Da AdiEu a Quitaly, che nome avrebbe l’uscita dall’Unione europea negli altri paesi

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