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    Perché lasciarsi fa così male?

    Un neuroscienziato spiega i processi chimici che si nascondono dietro le pene d’amore

    Di TPI
    Pubblicato il 17 Feb. 2016 alle 23:41 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:19

    Vi siete mai ritrovati in posizione fetale sul divano per giorni e giorni, con le tende tirate, senza rispondere al telefono, muovendovi solo per soffiarvi il naso e asciugarvi le lacrime?

    Probabilmente è successo perché vi siete resi conto che non avreste mai più visto una persona con cui per un dato periodo avevate avuto un rapporto molto stretto. Tutto qui. E allora perché questo vi lascia tramortiti per settimane, mesi, o anche per il resto della vita, in alcuni casi?

    Gli esseri umani sembrano adatti a cercare e formare relazioni amorose monogame, e questo si riflette in una serie di stranezze messe in atto dal cervello quando ci si innamora di qualcuno.

    L’attrazione è governata da molti fattori. Molte specie sviluppano caratteri sessuali secondari, ovvero caratteristiche che si manifestano durante la maturazione sessuale, ma che non sono direttamente coinvolte nel processo riproduttivo; per esempio, le corna di un alce o la coda di un pavone.

    Si tratta di elementi in grado di impressionare, che mostrano quanto sia in forma e sana la creatura in questione, ma oltre a questo non servono a molto.

    Gli esseri umani in questo non sono diversi. Da adulti, sviluppiamo molte caratteristiche che sono apparentemente utili solo ad attrarre fisicamente gli altri: la voce profonda, le spalle larghe e la barba negli uomini, oppure il seno pronunciato e le curve nelle donne.

    Nessuno di questi elementi è “essenziale”, ma in un lontano passato alcuni dei nostri antenati hanno deciso che era quello che volevano in un partner, e l’evoluzione ha fatto il resto. Ma poi si finisce con una versione di “è nato prima l’uovo o la gallina?” riferita al cervello, in quanto questo trova attraenti in modo innato alcune caratteristiche proprio perché si è evoluto per farlo. Cos’è venuto prima nel cervello dei primitivi: l’attrazione o la sua consapevolezza? Difficile da dire.

    Tuttavia, è importante distinguere tra il desiderio sessuale e l’attrazione più profonda e più personale che associamo al romanticismo e all’amore, cose più spesso cercate e trovate nelle relazioni a lungo termine.

    Le persone possono ovviamente godersi (e spesso lo fanno) interazioni sessuali puramente fisiche con altri per i quali non hanno alcun vero e proprio “affetto”, se non un apprezzamento per il loro aspetto, e nemmeno quello è davvero essenziale. Il sesso è qualcosa di difficile da definire col cervello, visto che è alla base di gran parte dei nostri pensieri e comportamenti nell’età adulta.

    Ma qui non stiamo parlando di desiderio sessuale; stiamo parlando più di amore in senso romantico, amore per un individuo specifico. Ci sono diverse prove che suggeriscono che il cervello tratti l’amore in modo diverso.

    Dagli studi di Bartels e Zeki emerge che quando agli individui che si definiscono innamorati vengono mostrate immagini dei loro partner, c’è una maggiore attività (non rilevata nel caso del desiderio del sesso o di rapporti più platonici) in una rete di aree cerebrali tra cui l’insula mediale, la corteccia cingolata anteriore, il nucleo caudato e il putamen.

    È stata rilevata anche una riduzione dell’attività nel giro cingolato posteriore e nell’amigdala. Il giro cingolato posteriore è spesso associato alla percezione delle emozioni dolorose, quindi ha senso che la presenza del vostro amato possa ridurne un po’ l’attività.

    L’amigdala elabora le emozioni e la memoria, ma spesso per sensazioni negative come la paura e la rabbia, dunque ha di nuovo senso che in questo caso non sia così attiva. Le persone impegnate in relazioni forti possono spesso sembrare più rilassate e meno preoccupate per le noie quotidiane, risultando regolarmente “compiaciute” agli occhi degli osservatori imparziali.

    Un genere di sostanze chimiche spesso associate all’attrazione sono i feromoni, che vengono emessi attraverso il sudore, possono essere rilevati da altri individui e alterarne il comportamento.

    Nonostante si parli spesso dei feromoni umani (a quanto pare si possono addirittura comprare degli spray appositi, se uno vuole aumentare il proprio sex appeal), non esiste attualmente alcuna prova certa che gli esseri umani abbiano feromoni specifici che influenzano l’attrazione e l’eccitazione. Il cervello può essere spesso un idiota, ma non è così facilmente manipolabile.

    Tuttavia, essere innamorati sembra elevare l’attività della dopamina nel circuito della ricompensa, il che significa che proviamo piacere alla presenza del nostro partner, quasi come con una droga. E l’ossitocina è spesso definita “l’ormone dell’amore” o simili, il che è una semplificazione eccessiva e ridicola di una sostanza complessa, ma sembra effettivamente essere elevata nelle persone con un partner, e negli esseri umani è stata collegata alla fiducia e ai legami emotivi.

    La flessibilità del cervello fa sì che, in risposta a tutte questo coinvolgimento profondo e intenso, si adatti a darlo per scontato. E poi finisce tutto.

    Consideriamo tutto quello che il cervello investe nel sostenere una relazione, tutti i cambiamenti che subisce, tutto il valore che attribuisce al farne parte. Se si rimuove tutto questo in un colpo solo, il cervello sarà seriamente influenzato in senso negativo.

    Tutte le sensazioni positive che ormai esso dà per scontate cessano improvvisamente, il che è incredibilmente doloroso per un organo che non ha affatto un buon rapporto con l’incertezza e l’ambiguità. Alcuni studi hanno dimostrato che la fine di una relazione attiva le stesse aree cerebrali che elaborano il dolore fisico.

    La dipendenza e l’astinenza possono essere molto disturbanti e dannose per il cervello, e in questo caso avviene un processo non dissimile.

    Questo non vuol dire che il cervello non abbia la capacità di affrontare una rottura. Può rimettere tutto a posto alla fine, anche se si tratta di un processo lento. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che concentrarsi specificamente sugli esiti positivi di una rottura può causare un recupero e una ripresa più rapidi. E, una volta tanto, la scienza e le frasi fatte corrispondono, e le cose migliorano davvero col tempo.

    In questo estratto dal suo nuovo libro, Idiot Brain, il neuroscienziato britannico Dean Burnett spiega i processi chimici che si celano dietro le pene d’amore (Traduzione a cura di Guglielmo Latini) 

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