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    Perché dopo tutto non essere sempre felici è un bene

    Secondo alcuni studi, tutti noi sperimentiamo diversi tipi di felicità, ma questi non sono necessariamente complementari, tanto che possono anche essere in conflitto

    Di TPI
    Pubblicato il 12 Ott. 2016 alle 17:05 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:33

    Raggiungere la felicità e il benessere e dare una risposta soddisfacente a quale sia il senso della vita sono cose che generalmente ognuno insegue nel corso della propria esistenza, con risultati piuttosto variabili a seconda delle persone e delle diverse fasi in cui ci si trova.

    Migliaia di studi e centinaia di libri sono stati pubblicati con l’obiettivo di aumentare il benessere e aiutare le persone a condurre una vita più soddisfacente, ma al giorno d’oggi è piuttosto difficile raggiungerla.

    Specialmente nel mondo occidentale e anche tra le classi sociali apparentemente più fortunate, la felicità rimane per certi versi un miraggio.

    Forse perché, secondo quanto sostengono alcuni studiosi tra cui il professore di psicologia Frank T. McAndrew sul sito The Conversation, aumentare la propria felicità potrebbe essere un tentativo futile, e come umanità potremmo essere “programmati” per sentirci insoddisfatti il più delle volte.

    Anche Jennifer Hecht, una filosofa impegnata nello studio della storia della felicità, nel suo libro The Happiness Myth, suggerisce che tutti noi sperimentiamo diversi tipi di felicità che non sono necessariamente complementari tra di loro, tanto che alcuni possono anche entrare in conflitto.

    Per esempio, l’aver ottenuto un tipo di felicità “a lungo termine”, data dal fatto di aver costruito una solida carriera e un solido matrimonio, può voler dire aver sacrificato tante “piccole felicità” più edonistiche e momentanee per inseguire un obiettivo più durevole.

    Il fatto di avere un lavoro gratificante per esempio può implicare il sacrificio di giornate di relax e momenti piacevoli passati tra amici, secondo una generale regola sintetizzabile con “non si può avere tutto”.

    C’è poi da dire che il nostro cervello tende a considerare il concetto di felicità come qualcosa di difficilmente associabile al presente, preferendo immaginare un futuro più roseo o rifugiarsi in momenti o epoche passate considerate più lieti, i famosi “bei tempi”.

    Tuttavia, studi effettuati ad esempio sui vincitori della lotteria e su altri individui che sembrano aver ottenuto tutto ciò che si possa desiderare dalla vita hanno evidenziato che raggiungere la vetta non necessariamente rende le persone più felici a lungo termine.

    Spesso infatti la gioia per il raggiungimento di un obiettivo dura giusto il tempo di guardare a nuovi propositi e sentirsi insoddisfatti di ciò che si ha. Questo in realtà è assolutamente positivo dal punto di vista dell’evoluzione della specie umana: sono proprio l’insoddisfazione per il presente e i sogni sul futuro a motivarci e a migliorare il benessere complessivo dell’umanità.

    Essere costantemente felici significherebbe rinunciare a ogni spinta di miglioramento, ed è per questo che conoscere i limiti della felicità può portarci ad apprezzare maggiormente i momenti in cui ne facciamo esperienza, consapevoli del fatto che nessuno può provare ogni genere di felicità allo stesso tempo, e che quindi non c’è motivo di essere invidiosi del prossimo.

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