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    Secondo il parlamento britannico l’intervento militare in Libia provocò il collasso del paese

    Il rapporto del parlamento elenca le scelte sbagliate di Cameron e Sarkozy, dall’assenza di un piano per il post Gheddafi all’aver sottovalutato la minaccia estremista

    Di TPI
    Pubblicato il 14 Set. 2016 alle 13:29 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:56

    Un rapporto del parlamento britannico ha duramente criticato Regno Unito e Francia per l’intervento in Libia che portò alla destituzione di Muammar Gheddafi nel 2011.

    In un rapporto della commissione Esteri, scrive la stampa britannica, si accusa l’allora premier David Cameron di non aver avuto una strategia coerente, di aver condotto l’intervento militare senza “le necessarie informazioni” e di aver portato al collasso del paese che ha consentito allo stato islamico di penetrare nel Nord Africa.

    Un’altra accusa è quella di non essere riusciti a identificare “l’elemento estremista nella ribellione” e di non aver previsto un piano dettagliato per come gestire il post Gheddafi. Dopo la destituzione del dittatore, infatti, la Libia sprofondò nella violenza, con la formazione di due governi in lotta tra loro e l’arrivo sul territorio libico degli estremisti dell’Isis.

    Perciò la campagna militare in Libia sarebbe stata fallimentare anche per l’aspetto fondamentale per la quale era stata avviata, cioè garantire la protezione e la sicurezza dei cittadini.

    Il governo si è difeso affermando che l’intervento fu frutto di una decisione internazionale in seguito a una richiesta di aiuto della Lega Araba e fu autorizzato dalle Nazioni Unite.

    Ad aprile lo stesso presidente degli Stati Uniti Barak Obama ammise durante un’intervista a Fox News, che il peggior errore commesso durante la sua presidenza era stato proprio la gestione della crisi in Libia.

    In precedenza anche Obama aveva utilizzato parole molto dure nei confronti di Cameron e Sarkozy per il caos in cui è sprofondata la Libia dopo le operazioni militari contro Gheddafi nel 2011, definendoli “scrocconi”, perché si affidarono all’esercito statunitense per i loro interessi politici, e “distratti” a sfruttare elettoralmente i bombardamenti piuttosto che assicurare la pacificazione del paese nordafricano e la nascita di un nuovo governo.

    La crisi libica in tappe

    – Il 17 febbraio 2011, sulla scia della Primavera Araba, scoppia a Bengasi la rivolta contro Gheddafi. Alcuni partiti di opposizione organizzano la “giornata della collera” contro il regime. Il 17 marzo 2011, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approva la proposta di una ‘no-fly zone’ avanzata dalla Francia. Due giorni dopo iniziano i raid contro le forze del colonnello, che cessano ufficialmente il 31 ottobre. Il 23 agosto 2011 i ribelli entrano nel compound di Bab al-Aziziya, a Tripoli, il simbolo del potere dell’ex colonnello, che viene catturato e ucciso dai ribelli a Sirte il 20 ottobre 2011.

    – Dopo la morte di Gheddafi, la Libia, grande sei volte l’Italia e abitata da sei milioni di persone, è stata gestita da vari governi di transizione. Divisioni e scontri tra le diverse fazioni paramilitari hanno segnato la vita del paese. Il 7 luglio 2012, si tengono le prime elezioni politiche: vincono le forze liberali di Mahmud Jibril. Due anni dopo, il governo del primo ministro Abdullah al-Thinni, riconosciuto dalla comunità internazionale, si insedia a Tobruk. Alcune milizie islamiche però non riconoscono i risultati e formano a Tripoli un proprio governo.

    – Le violenze intanto non si fermano, così come l’avanzata islamista. L’11 settembre 2012 i miliziani di Ansar al-Sharia assaltano il consolato statunitense a Bengasi, uccidendo l’ambasciatore Chris Stevens e altri tre americani. Il 10 ottobre 2013 il primo ministro Ali Zeidan viene sequestrato da un gruppo di uomini armati in un hotel a Tripoli e poi rilasciato dopo poche ore. A novembre nove persone vengono uccise a Bengasi negli scontri con gli islamisti. Il 27 gennaio 2014 i jihadisti sferrano un attacco contro l’hotel Corinthia a Tripoli, uccidendo altre nove persone, tra cui cinque stranieri.

    – A ottobre miliziani dell’Isis prendono il controllo del porto di Derna, nell’est del paese. A febbraio anche Sirte cade nelle mani del sedicente Stato islamico. Le violenze non si fermano. Il 16 febbraio i jihadisti riferiscono di avere sgozzato i 21 ostaggi egiziani copti rapiti a Sirte all’inizio di gennaio e le immagini che mostrano l’esecuzione dei rapiti fanno il giro del mondo.

    – Il 14 gennaio 2015 iniziano a Ginevra i colloqui di pace tra le parti sotto l’egida delle Nazioni Unite. Un anno dopo, nel gennaio del 2016 è raggiunto l’accordo per formare un governo di unità nazionale, guidato da Fayez al-Sarraj, con il mandato di contrastare l’avanzata dell’Isis, arrestare il flusso di migranti nel Mediterraneo, risollevare le disastrate finanze della nazione ripristinando la produzione di petrolio e sanare le divisioni nel paese.

    – I membri del governo di unità nazionale arrivano mercoledì 30 marzo a Tripoli via mare. Il governo di Tripoli, dopo l’iniziale resistenza si ritira e riconosce il governo Sarraj. Si oppone invece al nuovo esecutivo il governo di Tobruk, la cui figura chiave è il generale Khalifa Haftar

    – Le forze armate libiche, fedeli al governo riconosciuto dalla comunità internazionale, lanciano a maggio un’offensiva contro la città di Sirte, l’ultima roccaforte del sedicente Stato islamico in Libia. Il primo agosto 2016 le forze aeree statunitensi cominciano a bombardare con raid aerei la città di Sirte, facilitando l’avanzata via terra delle forze armate libiche, che pochi giorni dopo riescono a riconquistare la città. 

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