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    Paraguay, il caso Vidal Vega

    Un contadino testimone della strage che ha portato a un colpo di Stato in Paraguay è stato assassinato da due sicari sulla porta di casa

    Di Federico Larsen
    Pubblicato il 13 Dic. 2012 alle 22:31 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:07

    Paraguay il caso Vidal Vega

    Due sicari mascherati hanno atteso fuori dalla porta di Vidal Vega, un sabato mattina, e quando il gracile contadino è uscito di casa hanno aperto il fuoco sul suo petto ossuto. Con quattro colpi tra fucile e revolver hanno creduto di aver risolto la questione. Mentre la famiglia seguiva impietrita il tonfo del campesino, i due assassini si sono dati alla fuga per le viuzze di Marina Cué. Era il primo dicembre. Il tempo in cui il sole del Paraguay comincia ad attizzare la terra secca dei campi di soia e cotone già da presto. Appena appresa la notizia, i compagni di Vidal sono accorsi a casa della famiglia Vega. “È la diciottesima vittima”, si mormorava tutt’attorno.

    Tutto questo è cominciato per Vidal, e molti altri, otto anni fa. La sua regione, Curuguaty, nella parte orientale del Paraguay, è tra le più povere e allo stesso tempo più ricche del Sudamerica. Quella terra rossiccia, argillosa e rada fa gola. É lì che cresce ‘l‘oro verde’ che, nel momento del suo massimo splendore, ha portato il Paraguay a una crescita del 10 per cento annuale del suo Pil. La soia fa furore in America Latina. Riempie le tasche di chi la produce, ma svuota quelle dei contadini senza terra. Una ventina di persone, per lo più ‘brasiguayos’, imprenditori brasiliani stabilitisi in Paraguay, concentrano nelle loro mani la quasi totalità delle terre della zona. E dei 70 mila abitanti, pochissimi riescono a ottenere un posto da impiegato nelle coltivazioni. Il resto tira avanti come può.

    Ma purtroppo non si tratta di una situazione solamente regionale. In tutto il Paese, il 2 per cento della popolazione detiene la proprietà, spesso non legalmente, dell’80 per cento della terra. Così, la maggior parte della gente, di origini indigene, dalla pelle morena e l’accento guaraní, si deve accontentare di vivere nella miseria di ciò che racimola durante il giorno. Oppure no. In quel 2004 Vidal e altri migliaia di campesinos hanno cominciato a occupare i campi incolti, rivendicando il diritto alla terra, al lavoro, alla dignità. Hanno cominciato a chiamarli ‘carperos‘, dal nome delle tende precarie che usano per stabilirsi durante i mesi di resistenza nei campi. Gli sgomberi erano frequenti e violenti. Il governo di Asunción non li ha mai tollerati. Li considerava abusivi, usurpatori dei terreni in mano all’elite produttiva del Paese. Almeno fino al 2008. Poi qualcosa sembrava esser cambiato.

    Quell’anno apparve la remota possibilità di cambiare le regole del gioco. Un ex sacerdote girava per il Paraguay dicendo che sarebbe stato il presidente dei poveri, e cercava appoggio tra i contadini senza terra di tutto il Paese. Parlava di riforma agraria, di terra ai campesinos, e portava sempre addosso un crocifisso, forse il più importante simbolo della sua campagna elettorale. Fernando Lugo stava costruendo il potere che lo ha portato dalla cattedrale di San Pedro alla presidenza del Paese più povero dell’America del Sud.

    Eppure, Vidal e i suoi compagni non erano del tutto convinti. Vedevano i campesinos in preda all’euforia festeggiare l’arrivo del ‘padre dei poveri’ al Palacio de Mburuvicha Róga, ma i carperos erano ancora reticenti all’idea di non dover più occupare per coltivare il cibo delle loro famiglie grazie a Lugo. Perché Lugo si era alleato con il nemico. Non avendo una struttura di partito propria, e a causa delle divisioni interne che avevano causato la sua candidatura, Lugo dovette creare un’alleanza col centrista Partido Liberal Radical Autèntico (Plra) per poter riempire le liste della legislatura. Così, il sacerdote di contadini e poveri del Paraguay arrivava al potere a braccetto coi rappresentanti dell’industria e dei proprietari terrieri, finendo però col sotterrare 60 anni di governo del conservatore Partido Colorado.

    Gli anni di Lugo cambiarono poche cose per Vidal e la sua famiglia. Stessa casa, stessi problemi. Ma con educazione e sanità gratuiti, e qualche sussidio per arrivare a fine mese. Le occupazioni continuarono, mentre tra i più radicali cresceva l’idea che il nuovo governo non era capace di mantenere le promesse fatte. Curuguaty era ancora la stessa regione di povertà, violenza e ingiustizia. Nel freddo giugno del 2012, Vidal e compagni decidettero di occupare uno stabilimento privato a Curuguaty, proprietà dell’ex senatore conservatore Blas Riquelme. Il governo ordinò l’ennesimo sgombero, ma questa volta qualcosa andò storto. L’arrivo della polizia fu ricevuto a colpi di armi automatiche. Nessun campesino poteva nemmeno permettersi un’arma del genere, e la sparatoria lasciò tutti attoniti. La polizia rispose al fuoco sparando sugli occupanti, tra cui molti erano donne e bambini. Furono 17 i morti. 11 contadini e 6 poliziotti. Vidal era lì. Ha visto tutto. “Era un archivio vivente del massacro”, ha dichiarato pochi giorni fa il prestigioso sacerdote gesuita Paí Oliva.

    E non fu solo polverone quel che si alzò dopo ‘la strage di Curuguaty‘. Il vicepresidente di Lugo, Federico Franco, del Partito Liberale Radicale Autentico (Plra), accusò direttamente l’ex sacerdote di essere responsabile della strage, e in un batter d’occhio riuscì a destituirlo e a prendere il controllo della presidenza. Un ‘golpe blando’ o ‘colpo di Stato dal guanto bianco‘, lo hanno definito i giornali sudamericani. Da lì in poi sono piovute incessanti le accuse di corruzione, violenza e censura contro il governo di Franco. Il colpo di Stato fu così scandaloso che nessun Paese latinoamericano ha mai riconosciuto il nuovo governo, e l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) e il Mercosur (il mercato comune del Sudamerica) hanno sospeso il Paraguay come membro dei rispettivi blocchi. Nel giro di sei mesi, Franco ha liberato l’uso di una decina di varietà di semi geneticamente modificati in tutto il Paese, causando vere e proprie rivolte tra i campesinos – che vedono ancor più difficile l’accesso alla terra – e la concorrenza di fronte alla nuova soia blindata da ogni peste.

    Vidal era diventato uno dei principali testimoni dell’investigazione indipendente della strage. Franco aveva promesso di risolvere il caso in 120 giorni. Cosa che non è mai avvenuta, e pare lontana dal succedere. Ma lo scorso sabato, primo dicembre, Vidal ha aperto la porta della sua umile casa, e la sua famiglia, i suoi compagni e i campesinos del Paraguay piangono oggi la sua scomparsa. Un contadino quasi anonimo. Uno dei tanti che aveva deciso di lottare, e di cui il mondo intero è all’oscuro. Ora, anche l’Onu pretende spiegazioni sul caso Vidal Vega.

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