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    Papa Francesco ha deciso di cambiare il Padre nostro. Ecco perché

    Papa Francesco
    Di Anton Filippo Ferrari
    Pubblicato il 15 Nov. 2018 alle 17:07 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:56

    Un verso di una delle preghiere della religione cattolica più conosciute cambia testo. Stiamo parlando del padre nostro. Da “non indurci in tentazione” si passerà a “non abbandonarci alla tentazione”.

    Il testo della nuova edizione del Messale Romano sarà sottoposto alla Santa Sede “per i provvedimenti di competenza, ottenuti i quali andrà in vigore anche la nuova versione del ‘Padre Nostro e dell’inizio del ‘Gloria’”, lo ha comunicato oggi (15 novembre 2018) la Cei, al termine dell’assemblea generale dei vescovi in corso a Roma.

    Da oggi la preghiera insegnata da Gesù si potrà recitare con le parole “non abbandonarci alla tentazione” in tutte le occasioni.

    Non si tratta di una notizia rivoluzionaria: di tanto in tanto infatti si rende necessario cambiare le traduzioni sia della Scrittura sia delle preghiere più tradizionali. Questo perché il passare del tempo crea sensibilità nuove che richiedono parole nuove.

    Non sarebbe per nulla strano se nei prossimi mesi possano esserci altri cambiamenti. L’espressione per esempio “rimetti a noi i nostri debiti” ormai non è di semplice lettura per la gente qualsiasi.

    Nei paesi di lingua spagnola – e tra i primi a cambiare ci fu proprio l’Argentina – hanno da tempo introdotto “rimetti a noi le nostre colpe”, dal significato senz’altro più semplice e lineare.

    Anche l’inizio dell’Ave Maria andrebbe cambiato: “ave” oggi indica soltanto un richiamo al saluto romano e invece il significato originario, quello del vangelo, è “rallegrati”.

    A fronte di queste ragioni che spingono al cambiamento, il motivo per cui la Chiesa va con i piedi di piombo nel rinnovare formule che da decenni passano di padre in figlio è che il Padre nostro e l’Ave Maria sono per molti, quasi le uniche preghiere davvero conosciute a memoria e spesso ripetute.

    Papa Francesco però, come per molti altri aspetti della vita cristiana, spingerebbe verso questi ragionevoli cambiamenti.

    Perché per tanto tempo si è pensato che andasse bene “non indurci in tentazione”? Perché c’è un senso, ormai andato in disuso della parola tentazione, che non è strettamente negativo.

    Quando una mamma incoraggia il bambino a muovere i primi passi verso il papà, ad esempio, spinge il figlio a mettersi alla prova, a rischiare, accettando il rischio che cada. In questo senso lo “mette in tentazione”.

    Nella Bibbia ci sono molte situazioni in cui Dio mette alla prova con l’intento di far crescere: basti pensare al sacrifico di Isacco. L’obiettivo di Dio non è sperare che Abramo cada e pecchi ma insegnare all’uomo, cioè ad Abramo, a donarsi a Dio.

    Nel parlare comune questo senso positivo della “tentazione” però è ormai oscuro: prevale il demoniaco “tentare” con l’obiettivo di far cadere, di far morire, di causare danno a qualcuno che si odia. Per questa ragione, mantenere nella situazione attuale la traduzione “non c’indurre in tentazione” non darebbe all’uomo d’oggi una corretta immagine di Dio, perché confonderebbe Dio con il seduttore.

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