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    Oltre la guerra

    In Siria non c’è solo la guerra, ma anche importanti siti patrimonio dell’umanità. Che rischiano di scomparire per sempre

    Di Gualtiero Sanfilippo
    Pubblicato il 21 Giu. 2013 alle 11:46 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:47

    Un altro allarme per la città siriana di Aleppo e questa volta è l’Unesco a lanciarlo: sei siti considerati patrimonio dell’umanità sono a rischio per via della guerra che sta devastando il paese da oltre due anni.

    La denuncia dell’Unesco è arrivata dopo che il comitato si è riunito a Phnom Penh in Cambogia per discutere dell’inserimento di questi sei siti nella lista delle costruzioni Patrimonio dell’umanità a rischio.

    È proprio la città vecchia di Aleppo ad aver subito i danni più considerevoli. “Data la situazione del conflitto, non ci sono le condizioni per garantire la conservazione e la tutela del valore di questi sei beni”, sottolinea l’organizzazione.

    Gli altri siti siriani in questione sono la città vecchia di Bosra, il sito archeologico di Palmira, il castello di Krak dei Cavalieri, Qal’at Salah El-Din e altri antichi villaggi del nord. I monumenti sarebbero stati danneggiati dalle sparatorie, dai bombardamenti e dai saccheggi. Anche il Souk di Damasco è in cattive condizioni.

    L’Unesco ha definito il suo allarme come “un grido d’allarme rivolto alla comunità internazionale”. Così, l’organizzazione ha chiesto di impiegare tutti gli sforzi e tutti i mezzi utili per intervenire al fine di proteggere questi luoghi in difficoltà.

    Nel frattempo, lontano dal campo di battaglia, alcuni ribelli scambiano pane, carburante e acqua con la fazione governativa, loro avversaria. Lo spostamento delle linee territoriale ha permesso la creazione di catene di approvvigionamento e di commercio tra i due eserciti.

    Nella provincia nord-occidentale di Idlib, i ribelli controllano la maggior parte dei campi di grano, ma non possiedono le macine che invece sono sotto il controllo dell’esercito di Bashar al-Assad che al contrario non controlla i campi.

    Così, ogni settimana i ribelli scambiano decine di migliaia di tonnellate di grano con il governo che dopo averle macinate, rimanderà indietro una parte della farina ottenuta.

    “Il grano non è qualcosa che riguarda il governo, è qualcosa che riguarda la gente in generale”, ha detto Abu Hassan, esponente dell’opposizione che lavora in un panificio a Salquin, nella provincia di Idlib.

    Non arriva più acqua alle formazioni ribelli, costringendoli a scavare dei nuovi pozzi o a comprare le forniture d’acqua dai proprietari di pozzi di dimensioni industriali, investendo grossi capitali.

    La benzina scarseggia, così alcuni agricoltori hanno deciso di bruciare i rifiuti per ricavarne energia per la città di Bulgur. Ma le costruzioni non si fermano, anzi nonostante la guerra incessante ed i continui scontri che causano danni irreparabili alle città, i ribelli continuano a costruire nuove case.

    Sul confine settentrionale della Siria, decine di camion percorrono un passaggio sicuro trasportando sacchi di miscela di cemento utili per essere utilizzati nella realizzazione di nuove costruzioni.

    Nonostante l’acuirsi delle tensioni e degli scontri, ribelli e militari del regime cooperano per la sopravvivenza, in attesa che arrivi domani, quando l’uno lavorerà per porre fine all’esistenza dell’altro.

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