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    Lo stop della Nigeria all’infibulazione

    Lo stato con la più alta percentuale di mutilazioni genitali femminili fa un passo avanti verso il rispetto dei diritti umani

    Di TPI
    Pubblicato il 4 Ott. 2015 alle 16:43 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:49

    “Sono le 9:30 di domenica e c’è aria di festa dentro la scuola di Bandung, in Indonesia. Le mamme, con i loro foulard e rossetti luminosi, chiacchierano e mangiano torta al cocco. 400 persone sono radunate al piano terra della scuola elementare. Fa caldo e c’è confusione e caos. Tutti sorridono. La dodicenne Suminah no. Dalla sua espressione sembra che voglia picchiare qualcuno. Sotto il suo hijab bianco, che ha tirato su come se fosse una felpa con il cappuccio, i suoi occhi hanno quella chiara e confusa espressione dei bambini quando sono stati traditi da qualcuno di cui si fidavano. Seduta su una sedia di plastica, respinge gli sforzi di sua madre per calmarla con un bicchiere di latte e biscotti. Suminah sta soffrendo tantissimo. Un’ora prima, i suoi genitali sono stati tagliati con delle forbici mentre era stesa su un banco”.

    A una giornalista del quotidiano britannico The Guardian è stato concesso in esclusiva di assistere a un’operazione di infibulazione nel 2006 in un villaggio dell’Indonesia. Nel Paese tale pratica è ancora attuata, ma ci sono zone del mondo che stanno facendo passi in avanti per vietare la mutilazione genitale femminile.

    Nel mese di maggio del 2015 è stata convertita in legge dall’Assemblea nazionale nigeriana la Carta contro la violenza sulle persone che ha reso ufficialmente illegale l’infibulazione in Nigeria

    L’infibulazione è una pratica crudele che consiste nel taglio del clitoride e, in alcuni casi, anche delle piccole labbra delle giovani donne, senza anestesia e spesso con strumenti inadeguati e non sterili.

    Secondo l’Organizzazione mondiale della salute (WHO), il 25 per cento dei 140 milioni di ragazze e donne che vengono mutilate ai genitali si trova in Nigeria.

    Sono svariate le ragioni per cui tale pratica è ancora diffusa in molti Paesi dell’Africa, del Sudest asiatico e della Penisola araba.

    Diverse tribù ritengono l’infibulazione necessaria per attenuare il desiderio sessuale femminile, garantendo così la castità delle donne fino al matrimonio. In alcune culture, inoltre, si crede che il rapporto sessuale con una donna a cui è stato tagliato il clitoride sia più piacevole per l’uomo.

    Altre credenze ancora vorrebbero che la mutilazione diminussero il tasso di mortalità dei figli, favorissero un miglior matrimonio e gravidanze sane e senza complicazioni. I genitali femminili esterni sono anche considerati antigienici e antiestetici e quindi vengono rimossi per rendere il corpo della donna più bello alla vista e per garantire una migliore pulizia.

    Il direttore della ricerca Better Life Africa, Grace Andri, spiega però come non ci sia alcun riscontro scientifico: “L’infibulazione non determina se una donna è pura o no, non determina se sarà promiscua e non determina se lei e il suo partner faranno del buon sesso”.

    “Questa pratica espone le donne al rischio di infezioni e incontinenza, specialmente quando sono le spose bambine – che cominciano prematuramente ad avere rapporti sessuali – a essere mutilate”.

    Come spiega Andri, le operazioni, svolte con strumenti non sterilizzati, e in ambienti insalubri possono portare all’apertura di un canale tra vagina, vescica e ano o causare epatite, infertilità, mestruazioni dolorose, malattie sessuali e travagli complicati.

    La decisione del governo nigeriano di rendere illegale la mutilazione genitale femminile rappresenta un primo passo verso l’interruzione di tale pratica, ma nella realtà non assicura che essa venga eliminata dalla tradizione di alcune tribù. 

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