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    Nicolas Maduro, l’uomo di cui si fida Chávez

    Da giovane lavorava come conducente di autobus. Ora è il vicepresidente del Venezuela. La realizzazione del sogno socialista?

    Di Marco Dalla Stella
    Pubblicato il 6 Mar. 2013 alle 01:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 17:05

    Quando l’amico e mentore Hugo Chávez fa il suo nome di fronte all’intera nazione venezuelana, lui non sembra tradire un eccessivo entusiasmo. Si alza sempre per ultimo, quasi costretto da quelli che intorno a lui lo stanno riempiendo di applausi, e si lascia andare a un sorriso trattenuto, un po’ imbarazzato. Dietro quei folti baffi e quell’espressione bonaria c’è il nuovo vicepresidente del Venezuela, Nicolas Maduro, la persona che dovrà farsi carico del Paese se la malattia che è stata diagnosticata al Comandante Chávez dovesse impedirgli di adempiere ai suoi incarichi pubblici. Maduro è stretto in un abito, in giacca e cravatta.

    La stessa giacca e la stessa cravatta che avversava profondamente quando, in abiti da lavoro, si rivolgeva alla folla in qualità di sindacalista. All’epoca, come ricorda lo stesso Chávez, la borghesia si prendeva gioco di lui, piccolo conducente di autobus dai modi spiccioli e senza formazione accademica. È a Caracas, tra le vie della capitale venezuelana, che a metà anni Ottanta il giovane Maduro lavora come autista. Attraversava la città per diverse ore ogni giorno, alla guida del suo bus. Guadagnava poco e lavorava tanto, proprio come molti suoi connazionali. A differenza di questi, però, Maduro non ha un sindacato a cui fare affidamento per la difesa dei propri diritti. Il Sindacato del Metro di Caracas (Sitrameca) nasce proprio per sopperire a questa mancanza, in seguito all’iniziativa di alcuni impiegati. Tra loro c’è anche Maduro, che grazie a una notevole capacità di iniziativa e a un’innata propensione alla leadership arriva rapidamente a ricoprire una posizione dirigenziale. Da sindacalista si rivolge alla gente comune, impara a condurre le battaglie per i diritti dei lavoratori nelle strade e nelle piazze. Non usa grandi paroloni né complesse teorie economiche. Parla con linguaggio semplice, talvolta spicciolo, ma con una grande forza comunicativa. È in questo contesto che Maduro entra in contatto con le idee marxiste, maoiste e leniniste della Liga Socialista, la facciata legale della Organización de Revolucionarios.

    Il 4 febbraio 1992 gli ufficiali Hugo Chávez e Francisco Arias Cárdenas accompagnati da oltre 2 mila soldati assaltano il palazzo di Miraflores, sede del governo venezuelano dove è asserragliato il presidente eletto Carlos Andrés Pérez. Dopo una giornata di guerriglia, il golpe fallisce e il comandante Chávez viene arrestato. Maduro, come gran parte dei venezuelani, rimane colpito da quanto accaduto. Fino ad allora non aveva mai preso in considerazione l’opzione del colpo di Stato, tanto da apostrofare l’insurrezione come l’iniziativa di ‘militari fascisti’. Nei giorni che seguono, però, rivaluta il tentato golpe e la figura di Hugo Chávez, decidendo di abbracciare a pieno titolo il suo progetto di rivoluzione bolivariana e di dare un suo contributo alla causa. Insieme alla sua compagna Cilia Flores, Maduro è tra i più assidui visitatori del Comandante durante i suoi anni di prigionia. La figura di Chávez, fiero rivoluzionario dietro le sbarre, gli ricorda quelle dei grandi personaggi sudamericani: José de San Martín, Simón Bolívar, fino a Che Guevara e Fidel Castro. Il suo carisma e il suo idealismo fanno breccia nella mente e nel cuore del sindacalista e della sua futura moglie, la quale entra a far parte del team di avvocati che chiederanno e otterranno la liberazione di Hugo.

    Maduro, dal canto suo, diviene la voce di Chávez fuori dalle mura del carcere. Entra a far parte del Mbr-200 (Movimiento Bolivariano Revolucionario-200), l’organizzazione politica del futuro presidente, e quando questo viene liberato in seguito a forti pressioni popolari, nel 1994, è uno dei primi ad accoglierlo. Al seguito di Chávez, Maduro entra nel Congresso venezuelano dopo la grande vittoria elettorale del 1998 e inizia la sua inarrestabile ascesa ai vertici del partito, fino alla nomina, nel 2006, di ministro degli Esteri. Da ministro, Maduro diventa l’ambasciatore di Chávez e rende proprio il discorso anti-imperialista che negli anni ha imparato a conoscere a memoria. Davanti ai grandi del mondo, parla di dittatura capitalista, di organizzazioni internazionali corrotte e totalmente asservite agli interessi statunitensi. Critica l’intervento militare in Libia, difende il regime di Assad in Siria e stringe rapporti amichevoli con l’Iran di Ahmadinejad.

    Chávez si fida ciecamente di Maduro, tanto che è l’unico non parente insieme a Raul e Fidel Castro a cui viene permesso di assistere il Comandante nei giorni seguenti all’intervento per la rimozione di cellule tumorali, nel 2011. È questa totale fiducia reciproca che ha condotto alla recente nomina di Maduro alla vicepresidenza, una probabile investitura per la successione alla Presidenza della Repubblica Bolivariana del Venezuela. La definitiva consacrazione dell’ascesa al potere di un conducente di autobus, la realizzazione del sogno socialista.

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