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    Sul New York Times il premio Nobel Krugman scrive che l’Italia è un esempio per la gestione del Coronavirus

    Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi, Roma, 1 aprile 2020. Credit: ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/FILIPPO ATTILI
    Di Giovanni Macchi
    Pubblicato il 25 Lug. 2020 alle 14:36 Aggiornato il 25 Lug. 2020 alle 14:45

    Giovedì 23 luglio il New York Times ha pubblicato un editoriale firmato da Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia nel 2008, che elogia l’Italia come modello positivo per la gestione dell’emergenza Coronavirus, evidenziando all’opposto i cattivi risultati ottenuti negli Stati Uniti dall’amministrazione del presidente Donald Trump.

    “Perché l’America di Trump non può essere come l’Italia?”, si chiede Krugman nel titolo dell’articolo. Il premio Nobel ricorda come il nostro paese sia stato il primo in Occidente a essere colpito da una grande ondata di contagi da Covid-19  (“gli ospedali sono stati sopraffatti e il bilancio delle vittime all’inizio è stato terribile”), ma – prosegue  -“dopo poche settimane i casi hanno raggiunto il picco e hanno poi iniziato un forte declino”.  I funzionari della Casa Bianca, si legge nell’articolo, erano fiduciosi sul fatto che negli Usa sarebbe accaduto qualcosa di molto simile: “Ma non è stato così”.

    “A questo punto possiamo solo guardare con rimpianto al successo dell’Italia nel contenere il Coronavirus”, scrive Krugman, che descrive così la situazione attuale nel nostro paese: “Ristoranti e caffè sono aperti, sebbene con restrizioni, è ripresa gran parte della vita normale, e l’attuale tasso di mortalità in Italia è inferiore a un decimo di quello americano”.

    “Come può l’America fare così tanto peggio dell’Italia?”, si domanda ancora il premio Nobel. “Non intendo spacciare facili stereotipi nazionali – scrive  -. Nonostante tutti i suoi problemi, l’Italia è un paese serio e sofisticato, non un palcoscenico da fumetto. Tuttavia, l’Italia è entrata in questa pandemia con gravi svantaggi rispetto agli Stati Uniti”. “La burocrazia italiana non è famosa per la sua efficienza, né i suoi cittadini sono noti per la loro disponibilità a seguire le regole. Lo Stato è profondamente indebitato, e questo debito conta perché l’Italia non ha una propria valuta: ciò significa che non può fare ciò che facciamo noi, stampare grandi quantità di denaro in caso di crisi”. E ancora, l’economista evidenzia che in Italia “il rapporto tra anziani e adulti in età lavorativa è il più alto nel mondo occidentale” e che il Pil pro-capite è fermo da due decenni.

    Tuttavia, “quando si è trattato di gestire il Covid-19, tutti questi svantaggi italiani sono stati compensati da un enorme vantaggio: l’Italia non era gravata dalla disastrosa leadership americana”.

    “Dopo una terribile partenza, l’Italia si è mossa rapidamente per fare ciò che era necessario per affrontare il Coronavirus”, scrive l’editorialista del New York Times. “Ha imposto restrizioni molte severe e vi si è attenuta. Gli aiuti del governo hanno contribuito a sostenere i lavoratori e le imprese. La rete di sicurezza aveva dei buchi, ma alti funzionari hanno cercato di farla funzionare. In un caso estremo di ‘non trumpismo’, il premier si è persino scusato per i ritardi negli aiuti”. “E, soprattutto, l’Italia ha schiacciato la curva: ha mantenuto il blocco in atto fino a quando i casi sono diventati relativamente pochi ed è stata cauta riguardo alla riapertura”.

    “L’America avrebbe potuto seguire la stessa strada, ma l’amministrazione Trump e i suoi alleati hanno spinto per una rapida riapertura, ignorando gli avvertimenti degli epidemiologi”, si rammarica Krugman. “Non abbiamo fatto quello che ha fatto l’Italia, non abbiamo schiacciato la curva, piuttosto il contrario. In questi giorni gli americani possono solo invidiare il successo dell’Italia nel resistere al Coronavirus e il suo rapido ritorno a una sorta di normalità: un sogno lontano per una nazione (gli Usa, ndr) che era solita congratularsi con se stessa per la sua cultura del fare”.

    L’Italia, conclude l’editoriale del New York Times, “viene spesso definita ‘il malato d’Europa’. Ma, se è così, noi cosa siamo allora?”.

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