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    L’olio di palma delle Nazioni Unite

    Una comunità di contadini ugandesi lotta per riavere i terreni espropriati per fare spazio a una piantagione di palme da olio

    Di Ludovico Tallarita
    Pubblicato il 20 Feb. 2015 alle 14:29 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 12:19

    John Muyisa è un contadino ugandese dell’isola di Bugula, nel sud del Paese.

    Quattro anni fa è stato espropriato del suo terreno di circa 17 ettari per fare spazio a una piantagione di palma da olio finanziata da un’agenzia delle Nazioni Unite.

    Oggi la casa di Muyisa cade a pezzi, perché all’uomo è stato concesso di coltivare soltanto una piccola parte di questo terreno, e non tutti i 17 ettari di sua proprietà.

    “Tutta la mia famiglia dipende dal mio appezzamento di terra. Non è soltanto il mio salario, ma anche un futuro garantito per i miei figli. Coltivandolo, avrei potuto guadagnare abbastanza denaro per comprarmi una nuova casa”, racconta.

    Tuttavia, Muyisa e altri contadini ugandesi dell’isola di Bugula non hanno mai smesso di lottare per riavere la loro terra. Gli agricoltori di Bugula hanno intrapreso un’azione legale contro la piantagione di palma da olio, chiedendo di essere risarciti.

    — Il business dell’olio di palma: il costo umano e l’impatto ambientale

    Il progetto, che ha avuto inizio quattro anni fa, ha causato la distruzione di 3,600 ettari di foresta tropicale.

    L’iniziativa imprenditoriale è sostenuta dal governo ugandese e dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad), l’agenzia delle Nazione Unite specializzata nell’aumento delle attività agricole nei Paesi membri.

    L’Ifad è direttamente responsabile per la sovrintendenza della piantagione di palma da olio sull’isola ugandese di Bugula e ha stanziato quasi 46 milioni di euro in prestiti per questo progetto.

    Secondo quanto affermato dall’agenzia dell’Onu, “nel corso del progetto circa 3mila contadini beneficeranno direttamente dagli sviluppi relativi all’olio di palma”.

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