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    Un patto rinato: come è cambiata l’alleanza atlantica con la guerra in Ucraina

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 9 Lug. 2022 alle 13:55 Aggiornato il 14 Nov. 2023 alle 14:03

    Caduto il muro di Berlino, scioltasi l’URSS e finito il Patto di Varsavia in molti si sono chiesti se la NATO fosse ancora necessaria. Per anni, in un mondo che aveva perso il suo ordine globale ma stentava a trovarne uno nuovo, l’alleanza si è allargata e ha cercato di trovare la sua missione in un mondo in cambiamento. A poco più di 30 anni dalla fine dell’Unione Sovietica, nel summit di Madrid conclusosi lo scorso 30 giugno, la NATO ha provato, forse per la prima volta, a definire in modo chiaro la sua missione.

    Il 24 febbraio del 2022 è una di quelle date che hanno un prima e un dopo. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha rappresentato un elemento talmente determinante da ridisegnare molti degli equilibri che conoscevamo, in Europa e nel mondo, e non è un caso che il nuovo concetto strategico elaborato dalla NATO e ufficializzato a Madrid sia la più grande svolta strategica compiuta dall’alleanza dalla fine della guerra fredda a oggi.

    Nel documento, la Russia viene identificata esplicitamente come “la più significativa e diretta minaccia per la sicurezza”, mentre la Cina rappresenta una sfida a interessi e valori. Se fino a poco fa le minacce contro cui si batteva la NATO erano viste come qualcosa di ibrido, il summit di Madrid ha saputo definire la questione in un modo particolarmente chiaro.

    LA RICERCA DI UN NUOVO OBIETTIVO

    Nel corso di tutta la guerra fredda la NATO era stata vista come un patto difensivo, garantito in primis dall’articolo 5 del trattato su cui si basa l’alleanza che prevede l’intervento di tutti gli stati membri in caso di attacco contro uno di loro. Un elemento che ha contribuito a prevenire eventuali attacchi contro i Paesi dell’Europa occidentale. Tuttavia, col crollo dell’URSS e del Patto di Varsavia sembrava che non ci fosse più una concreta minaccia da cui difendersi e l’alleanza avrebbe dovuto ridefinire il proprio ruolo.

    Negli anni la NATO si era ripensata come soggetto per la difesa da nuove minacce ibride (come definito nel concetto strategico adottato nel 1991), in un mondo che stava ridisegnando i propri equilibri, in cui i pericoli per l’alleanza rischiavano di arrivare più dall’instabilità dei vicini che da un attacco diretto di una potenza straniera. Non è un caso che il primo intervento militare della NATO sia stato proprio quello in Bosnia, per mettere mano alla complessa situazione balcanica in seguito allo scioglimento dell’ex Jugoslavia.

    Ma questo mondo che affrontava le nuove minacce ibride, dall’instabilità dei Paesi vicini al terrorismo e alla crisi migratoria, continuava a essere un mondo che non trovava il proprio equilibrio come quello che aveva caratterizzato la guerra fredda. La NATO si espandeva a est sulle ceneri del disciolto patto di Varsavia, arrivando a coinvolgere le tre repubbliche baltiche, già parte dell’URSS. E apriva un dialogo anche con la Russia, per anni vista come un partner e non, come oggi, la “principale minaccia”. Mai, invece, vennero coinvolti Paesi storicamente neutrali dal punto di vista militare come la Svezia e la Finlandia, che pure avevano aderito alla UE.

    IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO

    Il concetto strategico adottato dalla NATO nel summit di Madrid, per la prima volta dalla fine della guerra fredda, sancisce chiaramente che la Russia è la principale minaccia, superando le complesse minacce ibride elencate in passato. La Cina, pur molto più popolosa e in espansione dal punto di vista politico-economico rispetto alla Federazione russa, è vista come una sfida a interessi e valori, a causa delle sue politiche autoritarie ma anche dei rapporti con Mosca in via di approfondimento.

    Per un’alleanza che ha ribadito anche in questa circostanza che la sua missione principale è la difesa e la deterrenza, aver individuato in un modo esplicito la minaccia è qualcosa che ne chiarisce la ragione di esistere. Ma non è l’unico elemento importante, soprattutto se pensiamo che tutto questo avviene mentre in Ucraina è in corso una guerra che coinvolge proprio la Russia.

    La NATO, infatti, ha messo nero su bianco nel proprio concetto strategico che anche la stabilità dei Paesi che ambiscono a farne parte riguarda direttamente l’alleanza, impegnandosi quindi a sostenerli anche da interferenze straniere ritenute ostili. Questi Paesi sono proprio l’Ucraina, oggi in guerra con Mosca, la Georgia, che con la Russia ha combattuto nel 2008 e ha ancora una questione aperta riguardo Ossezia del Sud e Abkhazia, e la Bosnia-Erzegovina, la cui stabilità è minacciata da questioni etniche irrisolte tra bosniaci e serbi, in cui non mancano figure ritenute legate al Cremlino. Il messaggio a Mosca sembra essere che la NATO non vuole limitarsi a difendere solo chi è protetto dall’articolo 5.

    Ma la ridefinizione degli equilibri dettata dal conflitto ucraino si può vedere anche da un altro elemento emerso al summit di Madrid: l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’alleanza. Dopo il crollo del Muro di Berlino alla NATO avevano aderito solamente Paesi ex comunisti, che facessero parte del Patto di Varsavia o meno. Per risalire a un allargamento che non coinvolgesse questi Paesi bisogna risalire all’adesione della Spagna nel 1982. Anche la fine di quelli che sembravano dogmi diplomatici, come la finlandizzazione e la neutralità svedese, sono stati messi in discussione dalla ridefinizione degli equilibri in atto.

    Allargamenti e dichiarazioni di sostegno che ridisegnano anche i confini tra l’alleanza e quella che è definita la principale minaccia alla sua sicurezza. Se la cortina di ferro si limitava ad attraversare il cuore dell’Europa, la frontiera tra la NATO e gli aspiranti membri da una parte e la Russia e il suo alleato bielorusso dall’altra è lunga migliaia di chilometri, dal Mare del Nord fino al Mar Nero. Uno scacchiere che rischia di diventare complesso, con gli Stati Uniti che hanno annunciato un comando permanente in Polonia e la Russia che si è detta pronta a rispondere a eventuali minacce messe in campo nel Baltico da Finlandia e Svezia.

    L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

    Se da un lato il nuovo concetto strategico della NATO rende più chiaro il ruolo dell’alleanza e sotto molti aspetti la rafforza, dall’altro la espone a una questione che non va sottovalutata. Identificare in modo così chiaro la Russia come principale minaccia mentre Mosca sta conducendo una guerra in Ucraina potrebbe infatti rendere molto problematico un ruolo da protagonista in un dialogo che porti alla fine delle ostilità.

    Durante la guerra fredda, i rapporti tra NATO e Patto di Varsavia sono stati anche molto tesi, e in circostanze specifiche il rischio di una terza guerra mondiale è stato concreto. Ma definire un equilibrio mentre il Paese definito come la principale minaccia all’alleanza è in guerra con un Paese cui si è confermato il sostegno, rischia di vincolare il ruolo della NATO a un aspetto militare e indebolirne la forza puramente diplomatica per l’apertura di un dialogo che ponga fine alla guerra. Un’alleanza militare forte non può non avere la diplomazia tra le sue armi.

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