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    “Il mostro è mia madre”, Moses Farrow difende il padre Woody Allen dalle accuse di molestie sessuali

    Il figlio adottivo di Allen ha voluto esprimere la sua versione dei fatti, pubblicando un lungo post sul suo blog dove racconta la situazione familiare e accusa la madre Mia Farrow

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 25 Mag. 2018 alle 09:16 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 00:05

    Sulle presunte molestie di Woody Allen ai danni della figlia Dylan è intervenuto Moses Farrow, figlio adottivo di Allen, che ha voluto esprimere la sua versione dei fatti, pubblicando un lungo post sul suo blog dal titolo “A Son Speaks Out”, in cui descrive con brutale chiarezza la situazione familiare in cui è cresciuto.

    Dalla fine del 2017 svariate inchieste giornalistiche pubblicate principalmente negli Stati Uniti hanno dato vita a un movimento di sensibilizzazione sui temi delle molestie e degli abusi sessuali nel mondo dello spettacolo, in particolare fra potenti registi, attori e produttori di Hollywood.

    Una delle principali riguarda sicuramente il regista Woody Allen. Non è un caso che una delle inchieste che ha inaugurato le accuse a Weinstein, pubblicata dal New Yorker, sia stata firmata da Ronan Farrow, ex figlio adottivo del regista, e che in questi ultimi mesi sua sorella, Dylan Farrow, sia ritornata a riproporre le accuse di abusi nei confronti del padre, risalenti a più di vent’anni fa.

    “Sono una persona molto riservata e per niente interessata all’attenzione pubblica”, scrive Moses Farrow, “Ma la natura fuorviante degli attacchi contro mio padre mi ha portato a sentire che non potevo più stare in silenzio, non mentre lui veniva accusato di un crimine che non ha mai commesso”.

    Il figlio adottivo quarantenne del regista e di Mia Farrow racconta la sua difficile infanzia con la madre e il contesto famigliare in cui è cresciuto, fra maltrattamenti, intimidazioni e paure. E ricorda che cosa è successo il giorno della presunta violenza alla sorella Dylan.

    “Ero presente in casa nostra prima, durante e dopo il presunto evento. Ora che l’isterismo pubblico dello scorso anno è diminuito un po’ e ho qualche speranza che la verità possa essere ascoltata, voglio condividere la mia storia”, racconta Moses.

    Moses descrive i fatti del 4 agosto 1992, giorni in cui si sarebbe consumato l’abuso.

    “Una calda giornata di sole a Bridgewater, nel Connecticut, nella casa di campagna della famiglia”.

    Moses aveva 14 anni. Mia Farrow, era fuori a fare shopping. Lui era a casa con la sorellina Dylan, che aveva appena compiuto sette anni, il fratellino di quattro, Satchel (che ora si chiama Ronan) e i tre figli dell’amica con cui la madre era uscita.

    “Eravamo controllati dalla nostra tata, Kristi, dalla bambinaia di Casey, Alison, e dalla nostra tutor francese, Sophie», spiega.

    C’era un altro adulto in casa, seduto sul pavimento, a guardare Chi ha incastrato Roger Rabbit? con i bambini: Woody Allen. Mia Farrow, sette mesi prima, aveva scoperto la sua relazione con la figlia adottiva Soon-Yi, 21 anni.

    “Per mesi, ci aveva trapanato la testa con un mantra: Woody era “cattivo”, “un mostro”, “il diavolo” e Soon-Yi era “morta per noi”. Mia madre era la nostra unica fonte di informazioni su Woody ed era estremamente convincente. In quanto figlio più grande in casa, quel giorno d’estate, ho preso molto sul serio gli avvertimenti di Mia: desideravo disperatamente la sua approvazione, così come tutti i suoi figli. Avevo anche imparato che andare contro i suoi desideri avrebbe portato ripercussioni orribili. Avrei tenuto gli occhi aperti su Woody fino al suo ritorno. Ma segretamente, mi sentivo perplesso”.

    “Ricordo che Woody era seduto nella sala TV, come Dylan e Satchel. Ricordo che Woody lasciava la stanza qualche volta, ma mai con Dylan. Andava in un’altra stanza per fare una telefonata, leggere il giornale, andare in bagno, prendere un po’ d’aria. Insieme ai cinque bambini, c’erano tre adulti in casa, a tutti erano stati informati per mesi del “mostro” che era Woody. Nessuno di noi avrebbe permesso a Dylan di uscire con lui, anche se avesse voluto”.

    Nella lettera che Dylan pubblicò nel 2014 sul New York Times, il luogo del reato è il piano di sopra.

    “Dylan adulta sembra improvvisamente ricordare ogni momento della presunta aggressione, e scrive: ‘Mi disse di distendermi e giocare con il trenino elettrico di mio fratello. Poi violentò. Ricordo che guardavo quel trenino, concentrandomi mentre viaggiava sulle rotaie, in soffitta. Ancora oggi, non riesco a guardare i treni giocattolo”.

    “È un racconto preciso e avvincente, ma c’è un grosso problema”, prosegue Moses. “Non c’era un treno elettrico in quella soffitta. Non c’era, in effetti, nessuna possibilità per i bambini di andare a giocare lì, anche se avessero voluto. Era un vespaio, con chiodi a vista e assi instabili del pavimento, pieno di trappole per topi e escrementi. L’idea che potesse ospitare un treno elettrico funzionante è ridicola”.

    In passato, però, Moses ha contribuito alle accuse contro il padre.

    Come lui stesso ammette, “Ho persino scritto una lettera in cui condannavo Woody, dicendo che aveva fatto qualcosa di orribile e imperdonabile, e aveva infranto i miei sogni. Sapendo che così facendo avrei guadagnato l’approvazione di mia madre. Quella denuncia pubblica di mio padre rimane il più grande rimpianto della mia vita”.

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