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    Michael Moore: “Il fascismo in Italia non sta tornando, è già tra voi. E ora arriva negli Stati Uniti”

    Il regista Michael Moore. Credit: Getty Images

    Il regista presenta il suo ultimo lavoro al festival di Toronto. Il film - intitolato emblematicamente Fahrenheit 11/9 - è un attacco a Trump, l'inizio di una campagna contro il presidente

    Di Cristiana Mastronicola
    Pubblicato il 10 Set. 2018 alle 08:48 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 23:41

    “Il fascismo in Italia non sta tornando. È già tra voi”. Michael Moore non ha peli sulla lingua e commenta così la situazione dell’Italia nell’era Salvini in occasione della presentazione del suo ultimo lavoro, Fahrenheit 11/9.

    “Il fascismo è radicato nel vostro paese – aggiunge il regista – per noi è una realtà nuova”.

    Ma non si arrende all’idea che gli Stati Uniti debbano cadere vittima dei fascismi e sottolinea: “Non prendete impegni fino a martedì 6 novembre, data in cui i democratici sperano che l’esito delle Mid Term Elections riconsegni loro la maggioranza, almeno in uno dei rami del Congresso. Farò visita a tutti gli Stati che non hanno un orientamento politico stabile e li convincerò”, dice.

    Una via di scampo c’è: “Se torniamo a fare politica seria, i leader xenofobi e razzisti della Terra non andranno più da nessuna parte. Prima o poi i fascisti perderanno. Il loro punto di forza siamo proprio noi: non li abbiamo mai presi sul serio. Grosso errore!”.

    A 64 anni, con 6 milioni di follower su Twitter, Michael Moore diventato celebre per il suo documentario pubblicato all’indomani del crollo delle Twin Towers dell’11 settembre del 2001, torna con una docu-fiction in cui mette in luce le criticità del governo Trump.

    Il titolo rimanda esplicitamente al tipo di lavoro fatto dopo l’attacco alle Torri Gemelle. Fahrenheit 9/11 diventa, nell’era Trump, Fahrenheit 11/9. Se il primo metteva al centro l’11 settembre e gli Stati Uniti prima e dopo il crollo, ora il numero di riferimento è l’11 novembre 2016, anno di insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.

    “Ho fornito rivelazioni sull’11 settembre, i legami tra Bush e Osama bin Laden, la guerra in Iraq, la lobby delle armi, lo scandalo della sanità. Nel 2016 sono stato tra i pochi ‘di sinistra’ ad azzeccare la sconfitta di Hillary Clinton, per questo Fahrenheit si apre il 7 novembre 2016 a Philadelphia, alla vigilia dei risultati, tra supporter euforici e Trump sbeffeggiato. Sappiamo poi come è andata”, afferma il regista.

    Fahrenheit 11/9 esce il prossimo 21 settembre nelle sale degli Stati Uniti e si propone di avviare una vera e propria campagna anti-Trump in tutto il mondo. Una campagna che aveva preso piede a Broadway l’anno scorso con lo show The Terms of My Surrender (I termini della mia resa) che però non ha avuto il successo sperato.

    Il film è stato presentato in anteprima a Toronto. Il regista nella pellicola azzarda – come è solito azzardare – un parallelismo tra Hitler e Trump, addirittura facendo doppiare un intero discorso del dittatore al presidente degli Stati Uniti.

    Al paragone degli Stati Uniti alla Germania nazista, Morre affianca un gruppo di privati cittadini che ha denunciato l’inquinamento dell’acqua in Michigan, i Flint Whistleblowers e si confronta con i ragazzi superstiti alla strage di Parkland.

    Se Fahrenheit 9/11 resta il più grande successo di Moore al botteghino, con oltre 220milioni di dollari incassati in tutto il mondo, con Fahrenheit 11/9 il regista assicura: “L’America darà un esempio all’Europa, prevedo uno tsunami di elettori stavolta, soprattutto donne, giovanissimi e afroamericani. Se i candidati democratici sapranno giocarsi la carta vincente, ai repubblicani non resta che tremare”.

    Una responsabilità grande, per Moore, ce l’ha la televisione: “In Italia conoscete il potere delle televisioni sui cittadini meglio di chiunque altro. Mi domando, se Trump ha ricevuto decine di milioni di voti da parte di persone che guardavano il suo programma, The Apprentice, allora dove sono Tom Hanks, Oprah, Michelle Obama?”.

    E conclude il regista: “Trump dice di voler correre per la Casa Bianca dagli anni Ottanta. Non ci ha mai creduto veramente. La Casa Bianca non ha mica l’attico dorato. E Washington è piena di neri. Sono stati gli spettatori da casa col telecomando, l’auditel e i social media, a convincerlo che ce l’avrebbe fatta. Di una cosa ora son certo: per Trump è l’inizio della fine. Con il mio film, vi mostro la via d’uscita”.

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