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    Liberati sei ostaggi stranieri in Yemen

    Tre cittadini sauditi, due americani e un britannico sono stati rilasciati dai ribelli houthi e sono ora in salvo a Mascate, in Oman

    Di Sabika Shah Povia
    Pubblicato il 21 Set. 2015 alle 14:59 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:02

    In un volo diretto a Mascate, la capitale dell’Oman, è terminato l’incubo dei sei ostaggi liberati domenica dai ribelli houthi in Yemen.

    Tre cittadini sauditi, due americani e un britannico sono stati rilasciati dopo lunghe trattative tra i ribelli e il governo dell’Oman, che ha svolto un ruolo essenziale per il rilascio degli ostaggi.

    L’Oman non fa parte della coalizione guidata dall’Arabia Saudita che da marzo è intervenuta a sostegno del governo dell’ex presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, costretto alle dimissioni dai ribelli houthi che hanno preso il controllo di vaste aree nella parte occidentale del Paese.

    Gli houthi, presenti principalmente nel nord dello Yemen, sono sciiti e rappresentano circa un terzo della popolazione totale del Paese. La loro autorità non è riconosciuta dalla comunità internazionale e dalla maggioranza di tribù sunnite nel sud dello Yemen.

    Nei combattimenti che vanno avanti da mesi, i ribelli hanno spesso usato ostaggi stranieri per ottenere concessioni dal governo. Questo gruppo di persone in particolare pare sia stato sequestrato a marzo, all’inizio dell’offensiva internazionale. Ancora non è chiara la motivazione dietro al loro rapimento.

    Gli americani liberati sono due, ma secondo l’emittente russa Rt, un terzo rimane ancora in mano ai ribelli. Il trentacinquenne sarebbe un musulmano convertito che si trovava nel Paese per insegnare inglese.

    Una parte del territorio yemenita è inoltre sotto il controllo del gruppo militante Al Qaeda nella penisola araba, che si contrappone sia agli houthi che al governo di Hadi, e che da anni è preso di mira dalla controversa campagna di droni americani all’interno del Paese.

    Dal suo inizio nel 2015, la guerra civile in Yemen ha causato la morte di almeno 4.500 persone, di cui 2mila civili, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite.

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