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    Le elezioni europee contano davvero

    Quest'anno le elezioni al parlamento europeo serviranno a scegliere anche il presidente della Commissione. Ma con qualche rischio

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 21 Mag. 2014 alle 00:02 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:27

    Tra pochi giorni i cittadini europei saranno chiamati a votare per il Parlamento europeo, ma stavolta il loro voto potrebbe avere un peso differente. Per la prima volta, infatti, oltre all’elezione degli eurodeputati il voto servirà a scegliere anche il presidente della Commissione europea.

    Il trattato di Lisbona, entrato in vigore il primo dicembre 2009, stabilisce che il presidente della Commissione europea, quindi la più alta carica dell’organo esecutivo, è nominato dai governi “tenendo conto dei risultati delle elezioni” e “dopo aver consultato” il Parlamento europeo, che poi dovrà eleggerlo.

    In passato, la scelta è sempre stata il risultato di un accordo fra i capi di Stato e di governo di tutti i paesi membri, che da ultimo nel 2004 hanno scelto il portoghese José Manuel Barroso. Con il nuovo meccanismo, invece, votando alle elezioni europee i cittadini sceglieranno – sebbene indirettamente – anche il presidente della Commissione.

    I partiti del parlamento europeo hanno concordato infatti tra loro che sosterranno solo il candidato il cui partito prevale nelle elezioni, decidendo così di trasformare la presidenza della commissione di fatto in un ruolo di premier.

    Martin Schulz, esponente del Spd tedesco, è il candidato del Pse, il gruppo europeo che riunisce i più importanti partiti della sinistra moderata (tra cui anche il partito democratico italiano); il lussemburghese Jean Claude Junker è invece il candidato del Partito popolare europeo, appoggiato in Italia da Forza Italia, Nuovo Centrodestra e Udc.

    Lo scopo, come messo in luce dall’Economist, è stimolare l’attenzione degli elettori, sulla base del fatto che questa volta il loro voto potrebbe portare a una scelta importante per l’esecutivo.

    Eppure, prevedibilmente, questo non sta accadendo. L’interesse per i dibattiti è stato basso, anche nei paesi di origine dei principali candidati. Inoltre, fintanto che i singoli stati membri designeranno gli altri 27 commissari che gestiscono l’esecutivo dell’Unione affianco al presidente, la Commissione rimarrà un corpo multi-partito che cerca ampio consenso trasversale tra i partiti e non si limita a soddisfare la maggioranza parlamentare. In questo senso, la scelta rischia di non avere conseguenze rilevanti.

    Secondo i professori R. Daniel Kelemen and Anand Menon, che affrontano il tema su Foreign Affairs, la decisione può comportare alcuni rischi. Per decenni, infatti, la commissione ha svolto un ruolo cruciale come arbitro nelle controversie tra Stati membri e per il rispetto del diritto europeo. Se la sua presidenza diventerà politicizzata, questo potrebbe facilmente minare la sua credibilità come arbitro neutrale.

    Non è chiaro se un ulteriore potenziamento del Parlamento europeo sia un modo saggio per affrontare il problema del deficit democratico in Europa. La continua crescita dell’autorità del Parlamento nel corso degli ultimi tre decenni sembra suggerire il contrario: invece di risolvere il malessere democratico dell’Unione europea, il passaggio di potere ha portato alla caduta costante di affluenza alle elezioni e a cittadini che si concentrano sempre più su questioni nazionali quando vanno alle urne.

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