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    Le “città chiuse” della Russia

    Ereditate dall’Unione Sovietica, le “città chiuse” ospitano importanti siti dell’industria atomica, metallurgica, chimica e militare

    Di Nicola Del Medico
    Pubblicato il 22 Mar. 2012 alle 21:22 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 02:31

    Il filo spinato e i posti di controllo lungo le barriere di recinzione fanno da cornice non a una base militare, né a una prigione, ma alla città di Zheleznogorsk, in Siberia, dove ha sede la Sistemi di Informazione Satellitare – Reshetnev (Iss). La fabbrica dà lavoro a più di 8 mila persone, compresi alcuni dei migliori ingegneri russi, impegnati a progettare i satelliti che dovrebbero rilanciare l’industria delle telecomunicazioni “made in Russia”. Zheleznogorsk è una delle “città chiuse” ufficialmente indicate con l’acronimo Zato (formazioni territoriali-amministrative chiuse), lasciate in eredità dall’Urss alla Federazione Russa e alle altre repubbliche ex-sovietiche.

    La Russia conterebbe almeno quaranta “città chiuse”, gestite dal Ministero della Difesa oppure da Rosatom, l’Agenzia Federale dell’Energia Atomica. Queste singolari unità territoriali non ammettono visitatori esterni che non siano imparentati con i residenti, o non abbiano ottenuto un lasciapassare. Inoltre, anche gli abitanti delle Zato possono allontanarsi solo se muniti di appositi permessi. Per gli ingegneri di Zheleznogorsk, ormai il controllo dei pass fa parte della routine: bisogna uscire dalla città non solo per spendere meno, ma anche per svagarsi. Infatti, sebbene gli abitanti di Zheleznogorsk siano circa 100 mila, la città ha pochi bar e un solo cinema.

    In epoca sovietica, le restrizioni alla libertà di movimento venivano compensate col prestigio che spettava a chi veniva trasferito direttamente dall’università, fresco di laurea, alle città come Zheleznogorsk. Inoltre, gli abitanti delle “città chiuse” potevano consumare beni di qualità, e i loro figli frequentavano scuole efficienti. Il personale delle aziende atomiche, minerarie o chimiche, attorno alle quali sono sorti blocchi di abitazioni in stile tipicamente sovietico, era fiero di vivere in città che, per la loro importanza strategica, non erano segnate sulle mappe, e avevano nomi avveniristici come Krasnoyarsk-26 (l’attuale Zheleznogorsk).

    Oggi, mentre l’orgoglio nostalgico dell’era socialista svanisce insieme alle vecchie generazioni, sono gli stipendi alti a spingere migliaia di giovani cervelloni a vivere circondati dal filo spinato. Negli ultimi anni, il governo russo ha ripreso a investire negli stabilimenti delle ZATO, salvando le “città chiuse” dal degrado che le mise in ginocchio negli anni Novanta. Secondo Russia Beyond The Headlines, lo stato finanzia i due terzi delle attività dell’Iss, versando alla città di Zheleznogorsk più di 500 milioni di euro. I dipendenti dell’azienda sono in buona parte giovani e guadagnano in media il doppio degli altri neolaureati del Paese.

    A Znamensk, situata lungo il Volga, a nordovest di Astrakhan, ogni anno giungono più di 20 milioni di euro da Mosca. Questa ZATO ospita il cosmodromo di Kapustin Yar, dove vengono testati satelliti e razzi. Tuttavia, a Znamensk come in altre “città chiuse”, la disponibilità di risorse finanziarie stanziate dal governo federale non è sufficiente a tenere buoni tutti gli abitanti. Chi non ha scelto di vivere nell’esilio dorato delle Zato non sembra accettare di buon grado i controlli che limitano gli spostamenti al di là del filo spinato. I giovani hanno imparato a sgattaiolare via dalle “città chiuse” attraverso i buchi che si aprono nelle recinzioni, attratti dai divertimenti che gli altri centri urbani sono in grado di offrire.

    I liceali di Znamensk sognano di trasferirsi a Mosca per l’università, e abbandonare così una campana di vetro sotto la quale ogni movimento è tenuto d’occhio dalle autorità. Anche a Novouralsk, sugli Urali, “città chiusa” specializzata nell’arricchimento dell’uranio, la popolazione sta invecchiando, mentre i giovani preferiscono trasferirsi nella vicina Yekaterinburg. Maxim Sergeev ha raccontato la vita a Novouralsk, ammettendo che, per chi resta in città, lo sport e la partecipazione ad attività culturali programmate rappresentano forme di sublimazione delle restrizioni a cui sono soggetti gli abitanti delle Zato. Secondo Sergeev, quello delle “città chiuse” è “un fenomeno innaturale, che poteva essere evitato recintando solo la fabbrica e non l’intera città”. Oggi “nonostante la minaccia del terrorismo che porta a sacrificare la libertà per la sicurezza, non c’è più alcun bisogno di città chiuse”.

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