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    Lampedusa in Hamburg

    Scoppiano le proteste per la condizione dei rifugiati libici. In Italia? No, ad Amburgo

    Di Anna Ditta
    Pubblicato il 4 Nov. 2013 alle 15:42 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:23

    Quando gli si chiede da quanto tempo è in Germania, Anani non vuole rispondere. Dice che non è importante, che la domanda non ha senso. «Pensa a quelli che stanno dormendo per strada», dice, «alle persone che stanno veramente soffrendo e morendo». È questo quello che conta.

    Sono circa 300 i rifugiati che come lui sono giunti ad Amburgo nei mesi scorsi. Si tratta di persone in fuga dalla Libia dopo l’intervento militare della Nato, che hanno ottenuto il diritto di asilo nel primo Paese dell’Unione Europea dove hanno messo piede, cioè l’Italia. Eppure, come racconta Anani, nel nostro Paese molti di loro si trovavano a dover vivere in mezzo alla strada e non avevano chance di sopravvivenza.

    Per questo sono andati in Germania, che però non riconosce il loro status di rifugiati secondo le norme del regolamento Dublino II. «Qui non abbiamo il diritto di lavorare», spiega Anani. «Come vogliono che sopravviviamo? Dobbiamo iniziare a spacciare droga e a rubare? Tutto questo è contro la legge».

    Ad Amburgo circa 80 rifugiati hanno trovato riparo nella chiesa di St. Pauli. Altri passano la notte nella stazione di Dammtor, ma adesso che l’inverno si avvicina sale la preoccupazione per la loro sorte. Da alcune settimane la polizia tedesca si è mobilitata per risolvere la situazione e ha compiuto perquisizioni con l’obiettivo di rimandare i rifugiati in Italia. Così un gruppo di cittadini si è mobilitato fondando l’associazione “Lampedusa in Hamburg”– il cui motto è “Here to stay!” – e chiedendo che ai rifugiati venga applicato l’articolo 23 della legge tedesca sul diritto di soggiorno. Secondo questa norma, infatti, nel caso in cui vi siano speciali interessi politici in gioco, il diritto di soggiorno può essere garantito e quindi i rifugiati potrebbero restare in città.

    Il sindaco di Amburgo, il socialdemocratico Olaf Scholz, non sembra però voler sentire ragioni. L’ultima manifestazione si è tenuta lo scorso 2 novembre e secondo la polizia ha coinvolto circa 9mila manifestanti, i quali hanno attraversato le vie del centro chiedendo che la città anseatica resti un porto aperto agli stranieri, com’è sempre stato finora.

    «Gli amici sono amici per sempre», dice e ripete con solennità Anani, evocando le responsabilità della Germania nei confronti dei rifugiati dal momento in cui essa ha dato un appoggio –per quanto limitato- alla guerra libica. Allo stesso modo, la Germania e l’intera Unione Europea devono sostenere l’Italia nell’affrontare il problema dell’immigrazione. «La discriminazione sta qui», riflette Anani. «Un cittadino dell’Unione Europea può muoversi liberamente tra uno Stato membro e l’altro. Un rifugiato non può farlo».

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