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    La pseudoguerra siriana

    Slavoj Žižek spiega perché l’intervento militare sarebbe un azzardo

    Di Gualtiero Sanfilippo
    Pubblicato il 9 Set. 2013 alle 16:10 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 18:45

    La guerra in Siria necessita di un intervento militare o semplicemente politico delle altre potenze europee? Secondo l’articolo di Slavoj Žižek pubblicato sul “Guardian”, qualsiasi azione militare diretta sarebbe una follia politica con rischi incalcolabili.

    Žižek parla di “pseudoguerra”, dove c’è un dittatore che potrebbe aver utilizzato armi chimiche sulla popolazione del suo stato e un’opposizione priva di una vera identità. In questo momento a opporsi a Bashar al-Assad sono una serie di gruppi islamici fondamentalisti differenti tra di loro e sostenuti da altri paesi esterni al conflitto come Turchia e Arabia Saudita, per non parlare di una forte presenza di alcune cellule di Al-Qaeda.

    Non ci sono segni di una vasta coalizione. Tante, troppe alleanze religiose ed etniche influenzate da superpotenze mondiali come Stati Uniti, Russia e Cina.

    Quella in Siria sarebbe così una classica “guerra per procura”, più che una questione meramente interna al Paese.

    In questo momento un qualsiasi intervento non solo aprirebbe a un conflitto molto più grande, ma lascerebbe spazio (Assad permettendo) a tutti quei gruppi islamisti radicali, che prenderebbero il sopravvento.

    Così, Žižek si chiede se gli Stati Uniti commetteranno lo stesso sbaglio realizzato in Afghanistan, ovvero quello di armare i futuri al-Qaeda e i talebani.

    Un paragone interessante potrebbe essere quello con l’Egitto: lì il conflitto interno ha subito un’impennata rilevante grazie a un’opposizione forte come quella dei Fratelli Musulmani, neutralizzati solo dall’intervento dell’esercito. Ma la Siria non può contare su questo fattore decisivo.

    In Egitto vi è stata un’esplosione di organizzazioni eterogenee formate da studenti e lavoratori che si sono uniti prima per rovesciare il governo e poi per continuare a crescere; in Siria, invece, manca l’opposizione di una classe media che punta unita verso un obiettivo comune.

    Una simile emancipazione del popolo siriano limiterebbe l’insorgere di tutti quei gruppi fondamentalisti che aspettano di stringere una mano, per poi prendersi tutto il braccio.

    L’epilogo, conclude Zizek, è prevedibile: se vincerà Assad, assisteremo a una rivolta dei fondamentalisti che spazzerà la Siria in un paio di anni; se salterà il dittatore, i gruppi radicali occuperanno il posto vacante.

    L’unico modo per evitare tutto ciò?

    Introdurre una lotta per la giustizia sociale ed economica che chiami in causa quella classe formata da studenti e lavoratori che ora aspettano, in silenzio, dietro le quinte. Un po’ come le nazioni del mondo che ancora si chiedono se intervenire o meno, e in che modo.

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