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    La grande fuga degli ebrei francesi

    Nell'ultimo decennio sono più che raddoppiati gli ebrei che hanno lasciato la Francia per trasferirsi in Israele

    Di Eleonora Cosmelli
    Pubblicato il 11 Feb. 2015 alle 19:02 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:26

    La famiglia di Ben ha lasciato Parigi nel 2006, quando lui aveva 14 anni.

    Hanno deciso di lasciare la Francia in seguito a un attacco antisemita ai danni di un ragazzo di 23 anni, Ilan Halimi.

    È stato picchiato da un gruppo di coetanei francesi e arabo-francesi, la cosiddetta Gang dei Barbari, ed è morto poche ore dopo per le sue ferite.

    L’aggressione è avvenuta nel quartiere parigino di Porte de Vincennes, dove Ben e la sua famiglia vivevano. Lo stesso quartiere dove il 9 gennaio scorso quattro ebrei sono stati uccisi nell’attentato al supermercato kosher.

    Quella di Ben è stata una tra le prime famiglie ebree ad aver inaugurato il flusso di emigrazione di massa dalla Francia a Israele.

    Finita la scuola in Israele, Ben ha servito nell’esercito. Lì ha cominciato a lavorare per aiutare giovani francesi appena trasferitisi a imparare l’ebraico e a integrarsi nel Paese; in altre parole a completare il processo di aliyah. 

    Con questo termine s’intende “la salita” degli ebrei dalla diaspora a Israele, resa possibile dalla “legge del ritorno” che gli permette il conseguimento immediato della cittadinanza.

    Ben ha potuto notare con i suoi occhi che il numero di immigrati francesi che sceglievano di prendere la cittadinanza israeliana aumentava di anno in anno.

    Secondo i dati della Jewish Agency, il numero di richieste di aliyah dalla Francia è aumentato costantemente dal 2002 a oggi, ed è raddoppiato dal 2013 al 2014, passando da 3.293 a 7.086.

    Per il 2015, soprattutto a seguito degli attentati dello scorso mese, si prevede che le richieste ammonteranno a circa 15mila.

    Secondo Ben, gli ebrei lasciano la Francia perché hanno paura. Molti altri lo fanno per ragioni economiche.

    Nel 2014 si stimava che il 25 per cento dei giovani francesi fosse disoccupato, mentre in Israele il programma d’integrazione per l’aliyah della Jewish Agency offre anche aiuto per trovare lavoro ai nuovi cittadini.

    Tuttavia la professoressa Esther Webman della Tel Aviv University, specializzata nell’integrazione tra ebrei e musulmani nel mondo occidentale, sostiene che il problema sia più complesso.

    In Francia ci sono 7,5 milioni di musulmani e 580mila ebrei, secondo la Jewish Agency: in entrambi i casi, si tratta delle minoranze più numerose d’Europa.

    Gli arabi e gli ebrei di Parigi e dintorni convivono da anni negli stessi quartieri, e in certi casi hanno mandato i figli nelle stesse scuole, e hanno avviato insieme attività commerciali.

    Secondo la professoressa Webman, i rapporti tra le due comunità si sono deteriorati a partire dalla seconda Intifada, la “rivolta delle armi” scatenata da Yasser Arafat dopo il fallimento dei negoziati di Camp David nel 2000.

    Da quel momento, alcuni arabi che vivevano fianco a fianco agli ebrei in tutta la Francia hanno cominciato ad accusarli delle politiche che il governo israeliano stava portando avanti in Medio Oriente.

    Fino a oggi, ogni guerra arabo-israeliana ha portato a un accrescimento della tensione tra queste minoranze religiose all’interno di uno dei Paesi più fieramente laici del mondo.

    Anche quest’anno, uno dei motivi che ha portato il numero di aliyah a raddoppiare è stata la tensione creata dallo scoppio dell’ultima guerra estiva nel 2014 a Gaza.

    Per quanto la politica francese faccia di tutto per impedire “l’importazione” del conflitto” nella patria dei lumi, come ha dimostrato il tentativo di Hollande di scongiurare la partecipazione di Netanyahu alla manifestazione di Parigi in solidarietà con Charlie Hebdo l’11 gennaio scorso, la mobilitazione su base “etnica” sembra avere la meglio sul concetto di “nazione demos” figlio della rivoluzione francese.

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