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    La fabbrica del falso in Cina

    Copiare per innovare e innovare per migliorare. I prodotti contraffatti spopolano tra i ceti bassi e sfidano i giganti dell'industria mondiale

    Di Maria Dolores Cabras
    Pubblicato il 12 Nov. 2012 alle 08:09 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:37

    La fabbrica del falso in Cina

    Uno spazio di autonomia sottratto al centralismo del potere politico e alle regole delle lobby del mercato internazionale, una roccaforte dei “sovversivi” fuori dal controllo del governo. Così i cinesi concepiscono l’industria delle imitazioni battezzandola propriamente shanzhai, “fortezza delle montagne”. L’obiettivo è guidare il cambiamento del mercato domestico e indebolire le imprese monopoliste, concorrendo nell’offerta di produzione come contraltare ai brand predominanti delle aziende straniere.

    Yang è un giovane barbiere emigrato da un villaggio della remota campagna cinese nella fiorente area costiera vicina a Shanghai. Lavora quindici ore al giorno e guadagna duemila yuan al mese. Per i ricercatori Yiying Wu e Jack Whalen della Aalto University di Helsinki che lo hanno intervistato, Yang incarna il valore tradizionale cinese della frugalità. Occhi sempre fissi sul portafoglio, il risparmio per lui è tutto e si arrabatta tra i mercati di strada e le bancarelle “vendi-tutto” per accaparrarsi mercanzie piratate e falsi meticolosamente riprodotti dagli originali, venduti a basso costo ma con garanzia di lunga durata. Il suo comportamento di consumo segue una logica lineare: “Il prezzo più basso è quello più buono. È semplice. Se la coppia autentica di un paio di scarpe costa 300 yuan, e le contraffazioni delle stesse costano 60 yuan, se ne possono ottenere cinque paia simili a quelle con la stessa quantità di denaro. Non è fantastico?”.

    Il modello di consumo dei prodotti contraffatti shanzhai è divenuto un paradigma socioculturale di successo, soprattutto tra i nuovi giovani cinesi. Così diversi tra loro eppure desiderosi di uniformarsi, i consumatori tipo dei prodotti shanzhai vestono tute Kuma o Adadis, calzano scarpe da ginnastica Hike e si rifocillano nella pausa pranzo presso un McDnoald’s. C’è chi sorseggia una Future Cola e chi naviga su speciali motori di ricerca come Bageyalu e BaiGooHoo! (un ibrido tra Baidu, Google e Yahoo!), anche quelli clonati. Lo smartphone più diffuso è lo Xiaomi, che solo i più attenti non confonderebbero con un iPhone, mentre sono stati ormai scalzati i precedenti modelli Nokir, Samsing e Suny-Ericcsun. E, attenzione, non si tratta di errori tipografici. L’imitazione è già diventata parodia ma la farsa non stride con la realtà.

    La domanda di consumo dei prodotti shanzhai è cresciuta vertiginosamente nell’ultimo decennio. Le società produttrici si sono imposte sul mercato travolgendone gli equilibri e talvolta scavalcando i competitori, leader nel settore. L’industria shanzhai non è più di second’ordine: a dimostrarlo sono le storie aziendali del gigante dell’elettronica Tianyu, che in soli due anni ha superato la Lenovo e si è espanso verso i mercati d’oltremare, e della Future Cola, che puntando sulle aree rurali ancora non sfruttate è diventata la terza bibita gassata più bevuta nel Paese dopo la Coca Cola e la Pepsi. Le società shanzhai hanno raggiunto il successo sviluppando il vantaggio competitivo attraverso l’innovazione, la flessibilità, l’attenzione alle preferenze e ai gusti di massa, la diversificazione degli obiettivi, offrendo ai consumatori maggiore scelta e prezzi più bassi (un quinto del costo dei prodotti originali).

    La spinta a innovare, a sperimentare e adattarsi calcolando i rischi ha innescato un circolo virtuoso che ha consentito agli imprenditori shanzhai di fare il salto di qualità. Prima stimolando grandi volumi di vendita, poi controllando gradualmente i prezzi e formando aggregati o ecosistemi industriali per acquisire competenze e know-how tecnologico. È anche per questa ragione che il comparto shanzhai ha il suo focolaio di sviluppo nel distretto industriale di Shenzhen, laddove prosperano migliaia di imprese produttrici di componenti elettronici ed è possibile sfruttare le economie di scala. La produzione aumenta e il costo medio unitario diminuisce, attraverso reti interaziendali che incalzano il business.

    Copiare per innovare e innovare per migliorare. La regola d’oro dello shanzhaismo è la base di un vero e proprio fenomeno culturale che ha investito l’intera società cinese e sta influenzando i comportamenti sociali. Per i detrattori dell’industria shanzhai sotto la pretesa di culturalizzazione del fenomeno commerciale si celano solo le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale, la concorrenza sleale e i profitti illeciti. Per i fautori del shanzhai lifestyle, la massificazione dei prodotti piratati incoraggerà la liberalizzazione della creatività in un ambiente più aperto.

    Il dibattito mediatico è incalzante. Li Zonggui, professore alla Sun Yat-Sen University del Guangdong, ha sottolineato che la cultura shanzhai “rappresenta idee e innovazioni non-mainstream, ed è anche un modo nuovo per la gente comune di esprimere ciò che vuole”. Il fenomeno shanzhai “risponde alle esigenze psicologiche della gente comune e potrebbe essere un conforto per le loro menti”, ha invece affermato il critico letterario Xie Xizhang, mentre Sun Weiguo sul Guangming Ribao ha detto che “parodiare la cultura delle élites libera dallo stress della vita quotidiana”. Praticare lo shanzhaismo auto-gratifica e plagia al contempo, ridefinisce la percezione della disuguaglianza e dello status sociale, manipolando l’identità del consumatore che si proietta nel prodotto e quella del marchio piratato, di per sé falso.

    In questo mercato liquido, in cui le mercanzie contraffatte non sono più meri oggetti di consumo ma si trasformano in simboli di identità e libertà, si vendono o si comprano piccoli e grandi sogni. Qui fluttuano le contraddizioni dello sviluppo della nuova Cina e le esistenze dei migranti rurali, fagocitati in una società spersonalizzata e iper-competitiva.

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