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    La discriminazione dei pigmei

    Sono considerati essere inferiori dal resto della società e per questo non godono di alcun diritto. Ora rischiano di scomparire

    Di Elsa Pasqual
    Pubblicato il 19 Ago. 2014 alle 20:00 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:59

    Non superano il metro e cinquanta, vivono di cacciagione e la loro casa è la foresta pluviale nel cuore dell’Africa nera. Vivono tra Congo, Ruanda, Uganda e Camerun.

    Sono considerati individui di serie B: a loro è negato qualsiasi diritto presente nella Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli.

    Non possono partecipare alla vita politica, non possono votare e non hanno accesso alla sanità, all’educazione e alla giustizia.

    Sono i pigmei, popoli antichissimi che oggi rischiano di sparire ma che stanno facendo di tutto pur di preservare la propria identità e di rivendicare i loro diritti fondamentali.

    Non esistono dati ufficiali su quanti siano i pigmei in tutto il territorio africano, anche se si stima che in ogni villaggio ci siano comunità composte dai 30 ai 50 pigmei.

    Ancora oggi vivono in piccole capanne fatte con i rami e le foglie della foresta, come per esempio nel villaggio di Ngo, uno degli insediamenti pigmei nel nord del Congo dove vivono una quarantina di persone.

    La loro vita è in sintonia con i ritmi della natura: il fuoco è sempre acceso. Le donne eseguono le loro faccende intonando canzoni antiche, mentre i bambini accompagnano i padri a caccia.

    I pigmei devono fare i conti con l’ostilità dei bantù, il vasto gruppo etno-linguistico composto da oltre 400 etnie dell’Africa subsahariana, che li schiavizza e li costringe a lavorare sottopagati o retribuiti solo con alcol o una manciata di sigarette.

    “Vengono trattati come animali”, racconta Nkouka Maléka, uno studioso congolese che conosce da vicino la cultura dei pigmei. “Sono spesso vittime di forti discriminazioni e pregiudizi”.

    “Se una donna pigmea viene violentata, non ha alcuna possibilità di vedere punito il proprio aggressore, perché anche se sporgesse denuncia non verrebbe ascoltata”, aggiunge Nkouka Maléka.

    Le prime fonti che citano i pigmei risalgono all’antica Grecia: il poeta Omero li ha nominati nel terzo libro dell’Iliade, collocandoli nelle foreste nel sud dell’Egitto. Da geroglifici del secondo millennio avanti Cristo si è scoperto che i pigmei venivano portati in dono ai faraoni, perché considerati sovraumani per la loro capacità di compiere danze divine.

    In Congo, sebbene il governo abbia creato una commissione nazionale dei diritti dell’uomo per la protezione dei pigmei, di fatto gli abusi, i maltrattamenti o le violenze su di loro non vengono puniti.

    Nonostante nel 2007 sia entrata in vigore la Dichiarazione delle Nazioni Unite per tutelare i diritti degli indigeni, nessuna nazione in cui vivono i pigmei si è dimostrata disposta a riconoscere la loro identità.

    Un altro problema che affligge queste tribù è la deforestazione. L’avanzare dell’urbanizzazione e la distruzione di centinaia di alberi per l’industria del legname costringono queste popolazioni a vivere in riserve e a non trovare abbastanza selvaggina per sfamarsi.

    Privare i pigmei della propria terra e dei propri diritti significherebbe farli scomparire per sempre.

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