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    La comunità internazionale si muove

    Diversi paesi hanno deciso di intraprendere iniziative militari al fianco dell’esercito nigeriano per ricercare le ragazze rapite

    Di Emanuele Rossi
    Pubblicato il 15 Mag. 2014 alle 07:33 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:51

    Non solo campagne mediatiche come #BringBackOurGirls: diversi paesi hanno deciso di intraprendere iniziative di tipo militare al fianco dell’esercito nigeriano e mettersi alla ricerca delle studentesse rapite da Boko Haram che, dall’inizio del 2014, ha seminato più di duemila morti nelle province settentrionali del paese.

    In seguito alle dichiarazioni dell’ex premier britannico Gordon Brown, che sollecitava un intervento militare in Nigeria, David Cameron ha messo a disposizione una flotta aerea da ricognizione.

    Gli aerei inglesi affiancheranno i già operativi MC-12 americani (una derivazione militare dei civili Beechcraft 350), in grado di intercettare conversazioni radio e dotati di sensori termici che possono “vedere” attraverso il fogliame della foresta.

    Questi aerei, ampiamente usati in passato nella lotta ad Al-Qaeda, fanno già parte della flotta statunitense di stanza in Africa; vennero usati sia nell’operazione Tusker Sand (in Burkina Faso, Uganda e Niger), sia nel Maghreb per controllare l’espansione del gruppo Aqim, l’organizzazione islamica magrebina affiliata ad Al-Qaeda.

    Gli MC-12 integreranno il lavoro dei droni. La probabile pista di decollo degli UAV sarà la grande base americana in Gibuti, già base delle operazioni raid in Yemen.

    Anche la stazione aeronavale italiana Sigonella è coinvolta nelle ricerche: ieri mattina un drone Global Hawk si è alzato in volo dalla Sicilia per un pattugliamento in Nigeria.

    Sempre ieri, il dipartimento della difesa americana ha diffuso la notizia dell’invio di un reparto speciale di pronto intervento dei Marines per garantire la sicurezza delle ambasciate in Africa del nord.

    La ricognizione aerea potrebbe permettere di individuare tracce per localizzare le liceali; tuttavia, per liberarle, i militari dovranno ricorrere a operazioni boots on the ground.

    Nella regione sono stanziate diverse squadre di forze speciali. Guido Olimpio, inviato a Washington del “Corriere della Sera”, segnala anche la presenza di altri uomini che hanno scortato il generale David Rodriguez, capo dell’U.S. Army Force Command, in visita ad Abuja per studiare la situazione.

    Presso Kelley Barracks, il quartier generale di Africom a Stoccarda, lo stato di allerta è elevato: alcuni militari sarebbero stati già spediti in Nigeria per occuparsi dell’addestramento delle forze locali. Devono essere gli uomini del presidente Goodluck Jonathan a procedere con le operazioni per ragioni di sovranità nazionale. Non è comunque escluso un blitz “fuori giurisdizione”, come quello con cui i Navy Seals liberarono in Libia la petroliera “Morning Glory” a metà marzo.

    Se necessario, anche Parigi potrebbe mettere a disposizione forze armate: le attività di peacekeeping francesi, coordinante dal quartier generale di Ndjamena (in Chad), sono estese a tutta l’area del Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana).

    Anche l’Unione Europea finanzierà le operazioni: Catherine Ashton, l’Alto rappresentate per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha fatto sapere che sono già stati stanziati 10 milioni di euro.

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