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    Alcune considerazioni su Spectre, il nuovo film di James Bond

    Il 5 novembre è uscito al cinema Spectre, il nuovo capitolo della saga dedicata al più famoso agente segreto del mondo

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 6 Nov. 2015 alle 16:58 Aggiornato il 11 Set. 2019 alle 00:31

    Prima di iniziare è necessaria una piccola premessa: chi scrive questo articolo non è né un critico cinematografico, né una persona che lavora in alcun modo in questo settore.

    Molto semplicemente, è un appassionato dei film di James Bond il giorno dell’uscita di Spectre, è andato al cinema a vedere l’ultima opera dell’agente segreto più famoso del mondo e adesso ha qualcosa da dire a riguardo.

    Se il James Bond di Daniel Craig, tormentato e cupo rispetto a quello interpretato dai suoi predecessori, rappresentava una rottura rispetto alla tradizione di 007, Spectre è con tutta probabilità l’anello di congiunzione tra il Bond classico e il Bond di Craig.

    Il film, come da tradizione della saga, si apre con una sequenza iniziale che precede il video con i titoli di testa e la colonna sonora in sottofondo, questa volta affidata a Sam Smith.

    Questo segmento iniziale si apre con un lungo piano sequenza, probabilmente il più lungo mai realizzato in un film di James Bond, ambientato durante la festa del Dia de los Muertos di Città del Messico, una caratteristica festa in cui in occasione dl 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti, le persone si travestono con maschere che, in maniera parodistica, raffigurano la morte.

    Dopo questa suggestiva scena, Bond si butta subito nell’azione con una spettacolare lotta con il cattivo di turno, Marco Sciarra.

    Confesso che sono stato molto colpito dalla scena iniziale, non solo per l’ottimo abbinamento tra il piano sequenza e la spettacolare scena dall’elicottero, ma anche per l’ambientazione in cui ho visto qualcosa di diversi film anni Settanta che non so quanto sia frutto di personali collegamenti mentali.

    In primo luogo, l’ambientazione, con queste maschere in cui la morte è raffigurata in maniera parodistica, quindi con teschi e scheletri disegnati in maniera quasi infantile o primitiva, fa tornare alla mente un passato episodio della saga di James Bond, Vivi e lascia morire, del 1973, in cui Bond incontra la cultura voodoo dell’immaginaria repubblica caraibica di Saint-Monique.

    Altro fattore è una somiglianza che personalmente ho colto e mi chiedo se sia una suggestione o no tra Marco Sciarra – che tra l’altro porta il nome di un brigante che terrorizzò la campagna romana nel Cinquecento, ma non so quanto sia una citazione voluta piuttosto che un semplice caso di omonimia – e Ugo Piazza, il personaggio interpretato da Gastone Moschin in Milano Calibro 9.

    Nonostante Bond sia un personaggio che ama l’Italia e le donne italiane e ha visitato il nostro Paese numerose volte, da Venezia in Dalla Russia con amore a Siena in Quantum of Solace, solamente arrivato al suo ventiquattresimo episodio, ovvero Spectre, ha messo piede per la prima volta a Roma. 

    Non si tratta di una Roma che affascina con la sua luce come quella di La grande bellezza, il film da Oscar di Paolo Sorrentino: è una Roma più tetra – quasi tutte le scene sono girate in notturna – ma non meno affascinante.

    Tuttavia, ci sono alcune inesattezze di carattere topografico, inevitabili per una produzione immensa e che deve girare diversi Paesi del mondo, ma che da romano mi fanno storcere il naso, salvo poi perdonare perché si tratta di James Bond e di un film bello che tra l’altro ha ritratto Roma in un modo insolito rispetto a come in genere viene ritratta al cinema.

    Mi riferisco all’ipotetico palazzo Cardenza, in cui Bond deve recarsi durante il suo passaggio per Roma e che, oltre a non esistere come nome, dalle immagini è un luogo molto monumentale che visibilmente ha ben poco a che fare con la Città Eterna. Si tratta infatti di Blenheim Palace, complesso settecentesco situato nell’Oxfordshire, nel Regno Unito.

    Un fatto che riporta il Bond in versione Daniel Craig al Bond più tradizionale è il ritorno dei cattivi “vecchio stile”, quelli, per intenderci, con un progetto di controllo globale, una base gigantesca e segretissima in qualche luogo insolito come un vulcano spento e circondati da sgherri vestiti con divise dell’organizzazione di turno del supercattivo.

    Ovviamente, Franz Oberhauser, che poi altri non è che lo storico capo della Spectre Ernst Stavro Blofeld, egregiamente interpretato da Christoph Waltz, non può nel 2015 essere come compariva in Si vive solo due volte nel 1967, ma riadattato a oggi è molto simile ai cattivi dei vecchi James Bond.

    Ma non è solo il ruolo dei cattivi a riportare Bond alle origini. Per la prima volta da La morte può attendere del 2002, torna fin dall’inizio del film la figura della segretaria Moneypenny, che nel titolo precedente a Spectre, Skyfall, si era rivelata solamente alla fine della pellicola.

    C’è poi Q, ricomparso in Skyfall dopo essere stato assente in due film consecutivi, e per nulla facile da inserire nel film vista l’eredità lasciata da Desmond Llewelyn, l’attore che ha interpretato il personaggio per decenni.

    Il Q di Ben Whishaw, per la prima volta giovane e in versione nerd è un personaggio sicuramente azzeccato che rinnova il tradizionale personaggio della saga pur rimanendo fedele ai titoli classici di 007.

    Stesso discorso per M, dove Ralph Fiennes è abile a superare l’eredità lasciata da Judi Dench, la prima M donna affermatasi egregiamente nelle otto pellicole realizzate tra Goldeneye e Skyfall.

    Spectre rappresenta dunque la chiusura di un cerchio rappresentato dai quattro film dell’era Craig, con cui la serie ha avuto un re-boot, riiniziando quindi di fatto ex-novo rispetto ai venti film precedenti.

    L’era Craig, iniziata nel 2006 con Casino Royale, ha visto alcuni dei massimi successi dal punto di vista della critica della storia dell’intera saga di James Bond, ma attraverso un Bond cupo e tormentato, afflitto anche da problemi e insicurezze, si era un po’ scostata sotto alcuni aspetti dalla tradizione di 007.

    Tuttavia, se alcuni di noi fan di James Bond potevamo avere il timore che questo avrebbe portato sul medio e lungo periodo a snaturare il personaggio originale di 007, Spectre ci fa tirare un sospiro di sollievo. Bond è sempre lo stesso che nel 1962 fu interpretato da Sean Connery in Licenza di uccidere, e anche se con il passare degli anni deve per forza di cose adattarsi allo stile e alle mode del tempo, mantiene intatte sempre le proprie caratteristiche.

    In questo senso, dopo aver visto Spectre, direi quasi – ma chissà come proseguirà la saga – che questi quattro film di Craig possono configurarsi come qualcosa di simile a un prequel della saga “tradizionale” di James Bond, complice anche la sequenzialità degli ultimi episodi, fatto inedito – se non per alcuni singoli elementi – nei film di 007. Non a caso il primo film di Craig, Casino Royale, è anche il primo romanzo di Ian Fleming, lo scrittore che ha inventato il personaggio di James Bond.

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