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    Per sconfiggere l’Isis bisogna cominciare a parlare di autonomia per la comunità sunnita irachena

    Secondo Alon Ben-Meir, per annientare il sedicente Stato islamico e porre fine al conflitto settario in Iraq, i sunniti devono ottenere la stessa autonomia dei curdi

    Di TPI
    Pubblicato il 30 Lug. 2016 alle 15:51 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:05

    Adesso che le forze irachene, con il sostegno della coalizione internazionale, si stanno preparando a riprendere Mosul – l’ultima grande roccaforte dell’Isis in Iraq – la domanda che circola è: quale sarà il destino della comunità sunnita irachena dopo l’inevitabile sconfitta dell’Isis?

    Ritengo che a meno che non vengano avviati adesso, sotto gli auspici degli Stati Uniti, dei colloqui tra il governo iracheno dominato dagli sciiti e i sunniti per determinare il fato della comunità sunnita, sconfiggere l’Isis non metterà fine alla guerra civile tra sunniti e sciiti che in Iraq ha causato decine di migliaia di vittime dal 2003 a oggi.

    Fin quando i sunniti non avranno certezze rispetto a cosa riservi loro il futuro, non hanno ragione di mettere a rischio le loro vite per combattere l’Isis e di fare sacrifici di cui godrà il governo sciita di Baghdad, che respingono e disprezzano ancor più dell’Isis.

    L’amministrazione Obama dovrebbe, in parallelo alla lotta all’Isis, cominciare immediatamente dei negoziati con il governo iracheno sullo status futuro dei sunniti e convincerlo a stabilire una regione autonoma nelle loro tre province (Ninive, Salahildin e Diyala) per amministrare i loro affari come fanno i curdi nella loro regione autonoma nel nord, allentando il legame con il governo centrale di Baghdad.

    Affinché ciò abbia successo, sarà necessario, subito dopo la sconfitta dell’Isis, fornire ai sunniti ingenti aiuti finanziari per creare le istituzioni di cui hanno bisogno durante un periodo di transizione dai cinque ai dieci anni, inclusi servizi sanitari e sociali e scuole per consolidare le fondamenta per stabilite questo tipo di amministrazione autonoma.

    Presumere che in qualche modo l’Iraq tornerà a essere unito dopo la sconfitta dell’Isis è una pia illusione, dato che la partizione de facto dell’Iraq in tre stati fu decretata immediatamente dopo l’invasione dell’Iraq del 2003.

    Liberare Mosul dall’Isis sarà molto complicato in ogni caso. In effetti per l’Isis la battaglia per Mosul è una battaglia per la vita o la morte, e i suoi soldati ricorreranno a ogni mezzo a loro disposizione, non importa quanto crudele o disumano, per impedire alla coalizione e alle forze irachene di realizzare il loro obiettivo.

    Sarà una battaglia strada per strada e casa per casa, con l’alta probabilità che ci siano molte migliaia di vittime civili e la distruzione delle infrastrutture cittadine.

    L’unica maniera di ridurre la portata della devastazione e di mettere gradualmente fine alla guerra civile tra sunniti e sciiti in Iraq è persuadere le comunità sunnite dentro e fuori Mosul a unirsi alla lotta. Ciò, tuttavia, esige un prezzo che il governo centrale iracheno deve essere disposto a pagare, e cioè i negoziati per la creazione di una regione autonoma sunnita nelle loro tre province.

    La conquista di Mosul da parte dell’Isis ha accelerato l’esodo di centinaia di migliaia di persone appartenenti alle minoranze, inclusi turcomanni, yazidi, cristiani, sciiti e altri. Perciò la comunità sunnita rappresenta la maggioranza assoluta della popolazione. Date le loro preoccupazioni circa la continua instabilità, la discriminazione e lo spargimento di sangue, molti di quelli che sono fuggiti non saranno in grado o non vorranno tornare dopo la sconfitta dell’Isis.

    A tal fine, come mi ha detto un ex alto funzionario iracheno, c’è il bisogno urgente di un “dialogo esauriente tra le parti interessate per allineare la strategia politica a quella militare per la liberazione di Mosul”.

    Tra gli oltre 700mila sunniti attualmente residenti a Mosul, quasi 100mila hanno l’età per combattere e potrebbero unirsi alla lotta all’Isis da dentro la città, se vedessero di fronte a loro un sentiero chiaro che conduca alla creazione di un’entità autonoma.

    Ciò non servirebbe solo ad accelerare la sconfitta dell’Isis ma gradualmente metterebbe fine alla guerra civile tra sunniti e sciiti. La stessa fonte mi ha detto che “i funzionari iracheni devono abbracciare una nuova cultura del dialogo e del compromesso per convincere i loro elettori che sono capaci di adattarsi per far fronte ai bisogni e garantire il benessere del loro popolo”.

    Avendo perso il dominio dell’Iraq in favore degli sciiti nel 2003 dopo 81 anni di governo, i sunniti rifiutano ancora di accettare quella che considerano un incidente della storia. Ciò è stato aggravato da otto anni di governo sciita guidato da Nouri al-Maliki che ha abusato del suo potere e marginalizzato, maltrattato e perseguitato la comunità sunnita.

    Purtroppo, il maltrattamento dei sunniti è proseguito sotto il governo Abadi, nonostante gli Stati Uniti abbiano indotto Abadi a creare un governo di unità nazionale per sconfiggere l’Isis, prerequisito necessario a stabilizzare il paese.

    Questo governo di unità che gli Stati Uniti hanno sponsorizzato è una farsa. I sunniti non accetteranno mai una posizione subordinata rispetto agli sciiti sapendo che nel prossimo futuro continueranno a soffrire a causa della mano pesante del governo sciita.

    Il primo ministro Abadi è debole, il suo governo è corrotto e ha fatto poco per tranquillizzare la comunità sunnita. L’Iran continua ad avere notevole influenza su Baghdad, grazie all’affinità religiosa e al fatto che l’Iran ha fornito asilo a migliaia di iracheni esiliati durante il regime di Saddam.

    Ora che l’Iran sta attivamente partecipando alla lotta all’Isis con la sua milizia, partecipazione cui gli Stati Uniti hanno silenziosamente acconsentito, i sunniti non vedono il coinvolgimento iraniano e la sua notevole influenza sull’Iraq come transitoria. Perciò, i sunniti si trovano inavvertitamente, ma spesso volontariamente, a sostenere l’Isis, dato che sono più affini, dal punto di vista religioso, all’Isis piuttosto che agli sciiti iracheni.

    Sapendo che gli sciiti in Iraq rimarranno il potere dominante, la maggior parte degli stati arabi sunniti, guidati dai sauditi, ritengono che la creazione di un’entità autonoma sunnita limiterebbe la cospicua influenza dell’Iran sul governo sciita iracheno.

    Non c’è dubbio che il futuro di Mosul dopo la sconfitta dell’Isis sarà messo in discussione e il governo iracheno si opporrà a qualsiasi soluzione che non riporti Mosul sotto il governo di Baghdad.

    Credo, tuttavia, che non ci sarà alcuna fine al conflitto tra sunniti e sciiti a meno che la città di Mosul, che si trova al centro della provincia sunnita di Ninive, non diventi la capitale della nuova entità sunnita.

    Il nodo centrale che deve essere incorporato in qualsiasi accordo sull’indipendenza sunnita è quello di massicci investimenti stranieri e in particolare una soluzione equa rispetto alla distribuzione delle rendite petrolifere, che richiederà un meccanismo rigoroso e vincolante, controllato dal consiglio di Sicurezza dell’Onu e dalla comunità internazionale che ne assicureranno l’implementazione piena e permanente.

    Un accordo equo sulla distribuzione delle rendite petrolifere potrà incoraggiare relazioni migliori e più strette tra i curdi, i sunniti e gli sciiti, che porterà a una maggiore cooperazione in molti altri campi, inclusi programmi di sviluppo economico congiunti, cooperazione in materia di sicurezza, commercio ecc.

    L’amministrazione Obama mancava di una visione strategica chiara riguardo l’Iraq, e il presidente lo ha ammesso all’inizio del 2015. Ora che le condizioni sul terreno sono cambiate e che l‘Isis sta ripiegando, Obama può aiutare, col pieno supporto dei partner all’interno della coalizione, a disegnare il futuro dell’Iraq negoziando un accordo politico con il governo centrale iracheno che garantirà l’autonomia alla comunità sunnita irachena.

    Questa potrebbe rivelarsi l’unica ricetta per sconfiggere l’Isis e mettere fine alla guerra civile tra sunniti e sciiti in Iraq e in altri stati arabi.

    * Alon Ben-Meir, professore di relazioni internazionali ed esperto di Medio Oriente alla New York University

    * Traduzione a cura di Paola Lepori

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