Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
  • Esteri
  • Home » Esteri

    Cos’è l’Intifada

    Credit: AFP

    La decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale israeliana potrebbe portare a una nuova grande insurrezione dei palestinesi contro gli ebrei

    Di Giuseppe Loris Ienco
    Pubblicato il 7 Dic. 2017 alle 15:56 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:13

    La decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele ha dato vita a un’ondata di disapprovazione e scontento in tutto il Medio Oriente.

    Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come

    Secondo Ismail Haniya, leader di Hamas, le parole pronunciate da Donald Trump mercoledì 6 dicembre rappresentano una “dichiarazione di guerra contro i palestinesi”, la cui risposta più adatta può essere solo una nuova Intifada (in italiano “rivolta” o “sollevazione”), ovvero una nuova edizione della grande e violenta insurrezione da parte di civili e gruppi paramilitari palestinesi contro la presenza israeliana nel territorio che negli anni scorsi ha più volte sconvolto una regione già di per sé turbolenta.

    L’Intifada delle pietre

    La prima Intifada ebbe inizio il 9 dicembre 1987, il giorno dopo un incidente causato da un autotreno delle forze di difesa israeliane a Jabalya, una cittadina a pochi chilometri di distanza da Gaza, nel quale persero la vita quattro manovali palestinesi.

    Gli abitanti di Gaza interpretarono l’incidente come un atto deliberato di rappresaglia per l’omicidio di un ebreo avvenuto pochi giorni prima: una miccia che diede il via a una durissima protesta spontanea contro Israele, contraddistinta dal lancio pietre e molotov contro le forze dell’ordine e i militari israeliani.

    Nota anche come Intifada delle pietre, la sommossa iniziata sul finire del 1987 presto arrivò a coinvolgere talmente tanti palestinesi da rendere assai difficoltosa la risposta israeliana.

    Gli scontri furono particolarmente duri nella striscia di Gaza, dove nel dicembre 1987 2.200 coloni israeliani armati occupavano il 40 per cento del territorio, contro i 650.000 palestinesi costretti a vivere in grandi difficoltà economiche nell’altro 60 per cento.

    La prima Intifada si concluse nel 1993, con gli accordi di Oslo e la nascita dell’Autorità nazionale palestinese, l’organismo politico creato per il controllo nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Nella violenta repressione furono uccisi 1.600 palestinesi e 84 israeliani.

    L’Intifada di Al-Aqsa

    La seconda Intifada esplose inizialmente il 28 settembre 2000 a Gerusalemme per poi allargarsi a tutta la Palestina. A scatenarla fu la visita dell’allora capo di stato israeliano, il conservatore Ariel Sharon, sulla spianata delle Moschee, luogo sacro rivendicato sia dagli arabi che dagli ebrei.

    I palestinesi interpretarono il gesto di Sharon come una provocazione, arrivata al culmine delle tensioni dopo il fallimento dei colloqui di pace israelo-palestinesi a Camp David pochi mesi prima.

    La seconda Intifada fu ancora più violenta e sanguinosa delle precedente: in questo senso fu simbolica, due giorni dopo l’esplosione degli scontri, la morte ripresa dalle telecamere del 12enne palestinese Mohammad Al Durra, ucciso tra le braccia del padre.

    La lotta palestinese fu caratterizzata da azioni di guerriglia e attentati suicidi nelle principali città israeliane, soprattutto nei luoghi più affollati come stazioni dei trasporti pubblici e locali notturni.

    La risposta israeliana non fu certamente meno forte, con numerosi arresti e uccisioni tra le fila dei palestinesi per fermare la crescente minaccia.

    Una repressione durissima che culminò il 29 marzo 2002 con l’operazione militare Scudo difensivo, la maggiore campagna dell’esercito israeliano in Cisgiordania dopo la guerra dei sei giorni del 1967.

    L’operazione portò all’occupazione da parte delle forze israeliane delle principali città palestinesi, inclusa un’incursione a Ramallah che portò all’isolamento di Yasser Arafat, allora presidente dell’Autorità nazionale palestinese.

    L’8 febbraio 2005 Sharon e Abu Mazen, che nel frattempo aveva sostituito lo scomparso Arafat alla guida dell’Autorità nazionale palestinese, annunciarono la fine delle violenze.

    La seconda Intifada, nota anche come Intifada di Al Aqsa – dal nome della moschea più importante situata sulla spianata a Gerusalemme – si concluse con un bilancio altissimo di vittime: 4.700 morti in poco meno di cinque anni, l’80 per cento dei quali palestinesi.

    L’Intifada dei coltelli

    In molti considerano l’ondata di violenze che scoppiò in Israele all’inizio di ottobre 2015 una terza Intifada, nota come Intifada dei coltelli.

    Una sanguinosissima e spietata forma di lotta sollevatasi in un periodo particolarmente complesso nei negoziati di pace, fermi ormai da tempo a un punto morto: decine di israeliani in Cisgiordania, a Gerusalemme e altre zone del paese furono uccisi in attacchi all’arma bianca o investiti volontariamente da veicoli guidati dai terroristi.

    Una vera e propria guerra che però, a differenza delle precedenti insurrezioni, non ha mai avuto l’appoggio delle organizzazioni ufficiali della resistenza palestinese. Un’Intifada nata quasi spontaneamente, dalla volontà di cosiddetti lupi solitari, molti dei quali giovanissimi.

     

     

     

    Leggi l'articolo originale su TPI.it
    Mostra tutto
    Exit mobile version