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    Il Pakistan ha impiccato un ragazzo condannato a morte quando era minorenne

    Shafqat Hussain, un pakistano di 24 anni, è stato impiccato all'alba del 4 agosto dopo 12 anni passati nel braccio della morte

    Di Sabika Shah Povia
    Pubblicato il 4 Ago. 2015 alle 16:12 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 16:54

    Nonostante le pressioni internazionali, le richieste di varie organizzazioni per i diritti umani e le preghiere dei familiari, Shafqat Hussain è stato impiccato all’alba di questa mattina in un carcere di Karachi, in Pakistan.

    Hussain era stato arrestato nel 2004 per il sequestro e l’omicidio di un bambino di sette anni. In Pakistan non è legale condannare a morte un minorenne, eppure secondo Reprieve – un’organizzazione non governativa contro la pena di morte – Hussain aveva soltanto 14 anni all’epoca.

    Hussain ha sempre sostenuto che la confessione gli fu estorta con violenza da parte della polizia, proprio come sosteneva anche Aftab Bahadur, impiccato due mesi fa dopo 22 anni nel braccio della morte.

    Ci sono tanti altri casi in cui è stato denunciato l’eccessivo utilizzo della violenza da parte della polizia per ottenere false confessioni. Secondo un rapporto di Amnesty International, ottenere false confessioni sotto tortura è ancora una pratica largamente diffusa in Pakistan.

    “È una violenza e un’ingiustizia,” ha detto Mohammad Altaf, lo zio di Hussain. “Una volta finalizzata la sentenza 12 anni fa, lo avrebbero dovuto impiccare subito”.

    Invece no. La prima volta che gli hanno detto che stava per morire era nel 2013. Poi, è successo altre sei volte.

    “Diventi una vittima di pressioni psicologiche,” ha raccontato Hussain alla Cnn qualche giorno prima della sua esecuzione. “Passi i tuoi ultimi sette giorni in una cella, da solo, dopo che hanno annunciato la data della tua esecuzione. Ti fanno alcuni controlli medici ogni giorno. Prendono le misure dell’altezza, il collo e il corpo per preparare i vestiti che indosserai. Io non ho mai indossato un vestito di quelli per le esecuzioni, ma so che il carcere ha già preparato il mio. Prego a Dio di non doverlo mai indossare”.

    Hussain era solo una delle oltre 8mila persone nel braccio della morte all’interno delle carceri in Pakistan. Dal 10 marzo del 2015 – quando è stata completamente sospesa la moratoria sulla pena di morte in vigore dal 2008 – il governo pakistano avrebbe giustiziato almeno 180 persone, superando così il numero di esecuzioni compiute in Arabia Saudita e Stati Uniti nello stesso anno, divenendo il terzo Paese al mondo per numero di esecuzioni.

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