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    Immagini e parole per raccontare il trauma delle molestie in luoghi pubblici

    Credit: Eliza Hatch (Instagram)

    Le protagoniste del progetto Cheer Up Luv raccontano le loro terribili esperienze, facendosi fotografare nei luoghi dove sono state molestate

    Di Giuseppe Loris Ienco
    Pubblicato il 21 Nov. 2017 alle 23:56 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 21:49

    Cheer Up Luv è il nome di un progetto fotografico nato per raccontare, attraverso immagini e testimonianze, il trauma delle molestie in luoghi pubblici.

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    Le decine di ragazze protagoniste di Cheer Up Luv sono tornate nei posti dove hanno avuto la sfortuna di incontrare uomini che le hanno disturbate in maniera pesante o infastidite con commenti inopportuni, trovando la forza per ricordare la spiacevole esperienza.

    Dietro il progetto c’è la fotografa britannica Eliza Hatch, che ha deciso di chiamare il lavoro Cheer Up Luv dopo essere stata lei stessa infastidita con parole non gradite da parte di uno sconosciuto: “Quella singola espressione, cheer up (su con la vita in italiano), mi ha irritato talmente tanto da convincermi a reagire in qualche modo. Mi ha spinto a confrontarmi con le mie amiche, anche loro vittime di esperienze simili.”

    “Ho realizzato che il problema non riguarda tanto le molestie, quanto il fatto che in molti non colgano il disagio che si prova dopo questi incontri e che non ci sia un livello di attenzione adeguato nell’opinione pubblica”, ha aggiunto la fotografa 23enne.

    Cheer Up Luv è stato accolto in maniera positiva dal pubblico: “Ha avuto un valore terapeutico per me e le altre donne coinvolte. Voglio dar loro una voce e continuare a denunciare il problema”, ha detto Eliza Hatch.

    Liv: Mi trovavo sulla metropolitana con i miei genitori. Poco prima quel giorno mia madre aveva fatto un commento sulla mia gonna, dicendo: “Non puoi indossare quella in metropolitana.” Ma faceva caldo e volevo indossarla, quindi l’ho fatto. Davanti a noi erano seduti due ragazzi in completo. All’improvviso, uno di loro ha detto all’altro: “Che cazzo stai facendo? Stavi fotografando la gonna di quella ragazza!”. Dopo qualche secondo, ho capito che stavano parlando di me.

    Gina: Mi trovavo al British Summertime Festival, quando un gruppo di ragazzi ha cominciato a darmi fastidio. Ho chiesto loro di lasciarmi in pace ma hanno continuato. Per dispetto uno di loro ha infilato le sue mani tra le mie gambe, su per la gonna, per fare una foto all’inguine. Allora gli ho strappato dalle mani il telefono e mi sono fatta strada tra la folla per correre verso la polizia, che però mi ha detto di non poter far nulla. Gli agenti hanno fatto cancellare al ragazzo le foto dal telefono, eliminando le prove. Ho sentito un gran senso di vergogna.

    Tree: Mi trovavo su un treno notturno, in una cabina piena di uomini. Ogni ora venivo svegliata da un uomo che si strusciava contro di me, insistendo affinché sorridessi. È sempre un azzardo viaggiare da sole quando si è donne, perché senza un rifugio familiare devi controllare i tuoi sentimenti di rabbia e paura per proteggere te stessa mentre sei costretta a fare ciò che ti viene detto.

    Emmeline: Era una calda sera di luglio su un treno affollato della metropolitana di Parigi. A un metro da me c’era un uomo che mi sorrideva in maniera insistente. Dopo alcuni minuti ho realizzato che si stava masturbando e gli era venuta un’erezione mentre mi fissava. Sono andata in panico e sono uscita di corsa alla fermata successiva.

    Krupa: Avevo qualche minuto libero prima di entrare a lavoro, quindi mi sono seduta su una panchina nei dintorni. A poca distanza da me c’era un uomo. Si è avvicinato a me e ha tirato fuori il pene senza farsi troppi scrupoli,  fissandomi con occhi spenti.

    Reannon: Ero seduta a una fermata dell’autobus quando un uomo col completo si è avvicinato e ha cominciato a parlarmi. Si è messo davanti a me, dicendomi che gli piacevano i miei capelli. Mi ha detto che ero bellissima e ha avvicinato le sue labbra alle mie. Per un secondo sono rimasta pietrificata ma sono riuscita a spingerlo via. Ho visto l’autobus arrivare e sono saltata su; lui mi ha seguita, si è seduto accanto a me e ha provato a infilare le mani sotto la gonna. Ho urlato e gli ho detto di andato a quel paese. Nessuno credeva che io fossi in pericolo.

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