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    Il popolo Saharawi

    Il territorio del Sahara Occidentale è diviso da un muro, che separa le aspirazioni di indipendenza locali dalle mire marocchine

    Di Claudia Morini
    Pubblicato il 23 Lug. 2013 alle 14:52 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 08:37

    “Una volta un giornalista mi ha detto: se almeno metteste qualche bomba, faceste qualche attentato, per avere interesse giornalistico…”, afferma Fatima, un’attivista del popolo Sarahawi. Ma forse a nessuno sembra interessare che il Sahara Occidentale è occupato e diviso da un muro lungo 2.700 chilometri, in maniera simile a ciò che avviene in Palestina.

    Il territorio del Sahara Occidentale, situato a sud del Marocco, è occupato da quest’ultimo dal 1975, anno in cui la Spagna, primo occupante dal 1884, con la fine del franchismo decise di ritirarsi dalle sue colonie.

    A niente sono serviti gli interventi e le ammonizioni a più riprese dell’Onu nei confronti del regno del Marocco, che ha accresciuto negli anni la propria presenza militare sul territorio, al fine di salvaguardare i propri interessi.

    Di qui la costruzione del lungo muro, inteso a dividere il Sahara Occidentale tra l’area controllata dal Marocco e quella sotto la tutela del Fronte Polisario, il movimento di liberazione nazionale del popolo Saharawi che nel 1976 ha proclamato la fondazione della Rasd (Repubblica Araba Saharawi Democratica). Il governo della Rasd si trova attualmente in esilio a Tindouf, in Algeria.

    Fatima è un’attivista che vive in Italia ormai da molti anni. Racconta le vicende del suo popolo senza mostrare rassegnazione in volto e in un italiano perfetto.

    Ci tiene a sottolineare con forza che il popolo Saharawi è il più alfabetizzato d’Africa, con un tasso del 95 per cento. E che la politica dell’educazione, che porta con sé insegnamenti di rispetto, è l’arma moralmente vincente di questo popolo, molto più di qualunque forma di terrorismo. Anche se non procura titoloni da prima pagina.

    Il Sahara Occidentale, all’apparenza territorio povero e arido, possiede delle importanti miniere di fosfati, dei quali il Marocco è il terzo esportatore mondiale. Inoltre, i suoi mari sono decisamente pescosi, e lo stesso Marocco è stato richiamato nel 2011 dal Parlamento Europeo per sovrasfruttamento di alcune specie ittiche.

    Ci sono inoltre le numerose ambiguità nell’atteggiamento della comunità internazionale e delle Nazioni Unite. A partire dal 1975 84 Stati hanno riconosciuto l’esistenza della Rasd, ma in seguito a pressioni da parte del Marocco in ben 33 hanno ritirato il proprio riconoscimento.

    Sempre nel 1975 un verdetto della Corte di Giustizia Internazionale e una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu stabilirono il diritto all’autodeterminazione del popolo Saharawi nel Sahara Occidentale, in risposta alle mire marocchine.

    In tutta risposta Rabat inviò le proprie truppe nel territorio e organizzò la cosiddetta ‘Marcia Verde‘, una manifestazione di massa in cui 350 mila marocchini oltrepassarono il confine chiedendo l’annessione della regione. L’Onu si limitò a deplorare l’atto di forza e a caldeggiare il ritiro del Marocco in modo pacifico, di fatto mai accaduto da quasi quarant’anni.

    Il conflitto armato successivo all’occupazione è durato fino al 1991, interotto da un cessate il fuoco della stessa Onu e dall’istituzione della Minurso, missione incaricata di portare a termine un referendum, mai avvenuto a causa dell’ostracismo marocchino, nonostante la sua forte predominanza numerica (avrebbero infatti votato un Saharawi contro sette marocchini).

    L’Onu, oramai, parla di “disengagement” nella questione, e non forza la mano anche a causa della forte opposizione della Francia, secondo Paese investitore nell’area, dopo la Spagna. Nel frattempo il mandato della Minurso è stato prorogato fino al 2014, con l’invito a occuparsi di diritti umani e a dotarsi di strumenti effettivi.

    Fatima è venuta in Italia dopo aver studiato per qualche anno a Cuba, grazie a una borsa di studio. L’Italia è da sempre attiva a favore del popolo Saharawi, come lei stessa mi racconta. Il comune di Ariccia, in provincia di Roma, al tempo del sindaco Cianfanelli diede l’opportunità a ragazzi Saharawi di proseguire i loro studi in Italia, e Fatima ha avuto così l’opportunità di studiare lingue.

    In Italia ci si adopera in particolare per i bambini Saharawi, che spesso riescono a venire nel nostro Paese per dei campi estivi grazie al lavoro delle numerose associazioni presenti sul territorio. In Italia inoltre c’è il maggior numero di gemellaggi con i Saharawi (300 comuni). Fatima racconta di una “solidarietà commovente”.

    L’ultima notizia riguarda l’intergruppo parlamentare costituitosi lo scorso 3 luglio a favore del popolo Saharawi, che contempla al suo interno le principali forze politiche italiane (PD, PDL, Scelta Civica, Sel, Fratelli d’Italia, M5S, Lega Nord). In particolare, l’idea dell’onorevole Scotto di Sel, attivamente presente nel gruppo in questione, crede nella lotta per il riconoscimento dello statuto diplomatico del popolo Saharawi, così come accaduto per la Palestina.

    Sulla situazione del Sahara occidentale si affaccia però lo spettro delle problematiche interne al Marocco. Da moltissimi mesi proseguono le manifestazioni nella capitale Rabat, ben organizzate ma non così partecipate come nella celebre piazza Tahrir. Ed è di pochi giorni fa l’annuncio del quotidiano “Al Masry Al Youm” che la campagna Tamarod, attraversando Egitto e Tunisia, avrebbe gettato un seme anche nel regno del Marocco. Già il 9 luglio lo storico partito di opposizione Istiqlal si è ritirato dal governo, ed è di oggi la notizia che il re ha accettato le dimissioni dei cinque ministri del partito.

    Qui starebbe lavorando a una raccolta firme per chiedere elezioni presidenziali anticipate, nella scia del discontento latente presente nel Paese e ultimamente rinvigorito dalle tiepide riforme attuate da re Mohammed VI per tamponare l’arrivo delle temute “primavere arabe”.

    Rimane da chiedersi se una eventuale crisi interna potrà sbloccare la situazione anche nei confronti del popolo Saharawi.

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