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    Il nuovo governo

    È formato da 34 ministri, più il premier Al-Beblawi, ed è composto da liberali, cristiani, militari, ma non include gli islamisti

    Di Gian Marco Liuni
    Pubblicato il 17 Lug. 2013 alle 12:42 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 22:33

    Il governo di transizione che guiderà l’Egitto dopo la rimozione di Morsi dello scorso 3 luglio ha giurato martedì di fronte al presidente ad interim Adly Mansour.

    Formato da 34 ministri, più il capo del governo Hazem Al-Beblawi, è formato da liberali, cristiani, militari, ma non include gli islamisti.

    Il governo dovrà riportare l’ordine tra le fazioni in rivolta nel Paese, ricostruire l’economia, e preparare l’Egitto per le elezioni politiche di febbraio 2014.

    Il governo è marcatamente ‘tecnocratico‘ con figure esperte in economia come lo stesso primo ministro Al-Beblawi, o personalità che hanno già ricoperto incarichi ministeriali.

    L’accento sulla competenza piuttosto che sull’appartenenza politica rivela la frattura nel sistema sociale egiziano che ha reso necessaria la formazione di una coalizione accettabile da tutti, ben lontano dai toni islamisti del governo di Morsi.

    La presenza, inoltre, di moltissimi ministri che hanno già servito sia nell’era Mubarak che in quella breve dei Fratelli Musulmani evidenzia ancora l’incapacità delle forze politiche egiziane di trovare un accordo favorevole a tutti, ricadendo inevitabilmente nella spartizione dei ministeri. Si tratta ad esempio di Mohammad Ibrahim, ministro dell’interno anche nel precedente governo Morsi.

    Abdul Fattah Al-Sisi, capo del consiglio supremo delle forze armate egiziane e uomo chiave nella rimozione di Morsi, continua a ricoprire il ruolo di ministro della difesa. Ma il suo potere reale va al di là di questo.

    Entro breve si dovrà costituire la commissione incaricata di emendare la costituzione stilata dai Fratelli Musulmani, la quale prevedeva il mantenimento di tutti i privilegi di cui i militari godevano sotto Mubarak. Con il controllo di fatto degli affari del Paese, lo scopo è proprio quello di salvaguardare queste clausole in sede di negoziazione.

    In settimana, le maggiori potenze occidentali si sono congratulate con Mansour e il nuovo governo Al-Beblawi. Lunedì il vice-segretario di Stato americano Will Burns ha accolto la formazione di un esecutivo liberale, specificando però che gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di imporre il loro modello in Egitto.

    Intanto, mercoledì, un diplomatico dell’Unione Europea incontrerà il nuovo governo, ha dichiarato il capo della diplomazia europea Catherine Ashton per ribadire che Bruxelles collaborerà solo con quelle forze che intendono portare avanti un processo democratico inclusivo.

    Nel frattempo i Fratelli Musulmani e i Salafiti di Al-Nour hanno rigettato ogni tipo di riconoscimento dell’iniziativa che, secondo loro, ha spodestato un Morsi legittimamente eletto e che deve immediatamente essere rimesso alla presidenza della repubblica egiziana.

    Sempre tramite il suo portavoce Gehad Al-Haddad, il partito Libertà e Giustizia ha negato che il nuovo esecutivo abbia proposto agli islamisti alcuni dei dicasteri, e siano stati poi questi ultimi a rifiutare. Il gruppo fa sapere che non è stata avanzata alcuna offerta, ma precisano che anche in tal caso non avrebbero accettato.

    Il conflitto politico avviene sullo sfondo della marcata polarizzazione all’interno della società egiziana. Solo lunedì 7 persone sono morte negli scontri tra i Tamarod che celebrano la rimozione dei Fratelli Musulmani e i pro-Morsi che rivendicano la sua legittimità a governare.

    La settimana scorsa 53 sostenitori del presidente deposto sono stati uccisi a una manifestazione organizzata di fronte a un reggimento delle guardie repubblicane, causando l’incidente più grave dall’inizio degli scontri.

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