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    Il dibattito sull’aborto

    La Camera dei Rappresentanti ha approvato la nuova legge sull’aborto. Che difficilmente, però, passerà al Senato

    Di Pietro Sala
    Pubblicato il 20 Giu. 2013 alle 10:26 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 11:44

    Si riapre negli Stati Uniti un dibattito che ha tenuto banco all’interno del Congresso ed infiammato l’opinione pubblica negli ultimi quarant’anni: quello sull’aborto.

    Martedì 18 giugno, infatti, la Camera dei Rappresentanti ha approvato – 228 voti a 196 – un nuovo progetto di legge sostenuto dal partito repubblicano che rende illegale l’aborto, nel caso in cui esso avvenga dopo venti settimane dal concepimento. L’approvazione è stata incassata grazie alla maggioranza che i repubblicani vantano all’interno della Camera.

    La legge 1797 sulla protezione del feto, avanzata in settimana dal deputato repubblicano dell’Arizona Trent Franks, si basa su studi scientifici secondo i quali il feto può fisicamente avvertire la sensazione di dolore già dal quarto mese di gravidanza.

    Nel testo originale si legge infatti che: “Entro l’ottava settimana dal concepimento, il feto reagisce al tocco. Dopo venti settimane, il feto reagisce a stimoli che sarebbero considerati dolorosi se applicati ad un essere umano adulto”.

    Gli aborti saranno legali solamente nei casi in cui la madre sia in pericolo di vita o vittima accertata di violenza sessuale, nonostante Frank abbia già chiarito che “la percentuale di gravidanze causate da stupri è molto bassa.”

    L’attuale legislazione sull’aborto si basa sulla storica causa Roe contro Wade del 1973, in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò che la donna ha il diritto costituzionale di fermare la gravidanza entro la ventiquattresima settimana dal concepimento, nonostante limitazioni giuridiche possano essere applicate Stato per Stato.

    Molti oppositori di questa legge – per lo più democratici – hanno espresso il loro disappunto dopo la vittoria alla camera. Martedì stesso, per esempio, la deputata democratica di New York Louise Slaughter ha dichiarato:

    “Quarant’anni fa, la Corte Suprema ha affermato che le donne in America hanno il diritto inalienabile di prendere le proprie decisioni riguardo la loro salute senza che il governo sia in alcun modo coinvolto.”

    Slaughter non ha neanche risparmiato aspre accuse ai repubblicani aggiungendo che, “Oggi, invece che concentrarsi sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sul miglioramento della nostra economia, la maggioranza ha ancora una volta giocato al dottore cercando di dire alle donne americane cosa possono e non possono fare, nonostante la costituzione parla chiaro.”

    Secca è stata anche la replica della Casa Bianca che ha immediatamente sottolineato la volontà del presidente Obama di porre il proprio veto sull’approvazione finale, nel caso in cui la legge passi anche in Senato.

    Quello di martedì, tuttavia, non è il primo tentativo da parte dei repubblicani di cambiare definitivamente le norme sull’aborto. Infatti, nell’aprile 1996 e nell’ottobre dell’anno dopo, l’allora presidente Clinton si rifiutò di firmare le due proposte di legge approvate a larga maggioranza sia alla Camera che al Senato.

    E ancora, nel 2007, la Corte Suprema bandì la nuova procedura approvata dal parlamento e firmata da George W. Bush nel 2003, ristabilendo di fatto le leggi di trent’anni prima che vigono tutt’ora.

    Nonostante i repubblicani tenteranno in tutti i modi di scendere a compromessi con i democratici, addolcendo il progetto di legge con piccole concessioni e cavilli legali di ogni tipo, la sensazione diffusa è che le nuove norme non otterranno la maggioranza al Senato, né tantomeno la firma (necessaria) del presidente Obama.

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