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    Il commercio delle spose bambine

    Costringono le figlie a sposarsi ancora bambine. Le fanno divorziare. Poi le spingono a emigrare per trovare fortuna altrove

    Di Jessica Cimino
    Pubblicato il 29 Lug. 2014 alle 01:24 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 12:29

    Abdella è nata e cresciuta in Etiopia. Ha 19 anni. La scuola l’ha lasciata quando ne aveva 16. Poco dopo si è sposata con un ragazzo di 22 anni.

    Nonostante la giovane età, Abdella condivide con molte sue coetanee una storia travagliata: quella del matrimonio combinato.

    Ogni giorno nel mondo 39mila bambine sono costrette a sposarsi contro la loro volontà. In un anno il numero sale a 14 milioni. Il dato emerge da uno studio dell’Odi (Overseas Development Institute), presentato il 22 luglio nel corso del Girl Summit, incontro promosso dall’Unicef e ospitato dal governo britannico a Londra.

    Lo scopo dell’evento è sensibilizzare la comunità internazionale sui problemi che affliggono le donne della nuova generazione, quali la mutilazione genitale e il matrimonio forzato.

    Per l’Odi sono sempre più frequenti i casi in cui i genitori fanno sposare le loro figlie ancora bambine, dietro pagamento da parte della famiglia del marito.

    Dalla larga diffusione delle spose bambine, deriva la denuncia dell’Odi per un altro fenomeno che in Etiopia cresce in maniera esponenziale, il cosiddetto “maid trade”.

    I genitori, in questo caso, costringono le proprie figlie a sposarsi prematuramente, a divorziare entro tempi altrettanto brevi e a trasferirsi all’estero per cercare lavoro con i soldi ottenuti dal matrimonio.

    Il fenomeno è molto diffuso nella regione etiope di Amhara, dove più di 1.500 donne e bambine ogni giorno abbandonano l’Africa per giungere in Medio Oriente, nella speranza di poter lavorare e guadagnare a sufficienza da mantenere la famiglia d’origine, secondo quanto riportato dal The Guardian.

    Le ragioni che si celano dietro a questi matrimoni e divorzi forzati derivano dalla tradizione etiope: per la comunità di musulmani d’Etiopia, infatti, rimanere nubile anche in seguito al primo ciclo mestruale viene considerato un peccato o un disonore. Ma una volta sposate e divenute sessualmente attive, i genitori considerano gli obblighi sociali e religiosi della donna come adempiuti.

    A quel punto, le ragazzine vengono spinte a chiedere il divorzio e a destinare loro il frutto dei propri guadagni all’estero. Il fatto poi che una giovane donna sia stata già deflorata implica ridurre le probabilità che la stessa subisca degli abusi da parte degli uomini stranieri: “È una questione di verginità e di virtù”, spiega un ricercatore della regione di Ahmara intervistato dal The Guardian. “Meglio perderla in maniera dignitosa”.

    Secondo l’Odi, alcune ragazze scelgono di migrare anche contro la volontà dei genitori. Abdella è una di queste: la sua famiglia vive in povertà e si mantiene coltivando un piccolo terreno. Suo fratello minore è ancora a scuola e pur di garantirgli la possibilità di completare gli studi, Abdella ha deciso di rimanere all’estero per poter guadagnare denaro sufficiente a mantenerlo.

    “Il marito la picchiava”, sostiene la mamma, Zeyneba Seid. “Non si piacevano, quindi divorziare dopo tre mesi è stata una scelta inevitabile”. Dopo il divorzio, si è procurata un passaporto falso, contravvenendo alla legge etiope che vieta la migrazione per motivi lavorativi ai minori di 18 anni: per farlo, ha dichiarato alle autorità di averne 27 e pagato più di 500 euro per l’intero processo di falsificazione.

    Trasferitasi in Arabia Saudita, ha cominciato a lavorare come domestica per una coppia con tre figli, percependo la retribuzione necessaria per consentire alla sua famiglia in Etiopia di avere elettricità, acqua e alimenti.

    Nonostante un matrimonio senza amore, un divorzio repentino e un trasferimento all’estero, Abdella continua a credere che sposarsi, divorziare ed emigrare con i soldi della separazione sia ancora vantaggioso per chi decide di lasciare l’Etiopia.

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