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    Hong Kong: rimosse altre due statue per piazza Tienanmen dopo il “Pilastro della vergogna”

    Operai portano via parte del "Pilastro della vergogna", rimosso il 23 dicembre dall'Università di Hong Kong. Credit: Alex Chan/SOPA Images via ZUMA Press Wire
    Di Marco Nepi
    Pubblicato il 24 Dic. 2021 alle 15:44

    Hong Kong: rimosse altre due statue per piazza Tienanmen dopo il “Pilastro della vergogna”

    Due opere commemorative delle repressione di piazza Tienanmen sono state rimosse la scorsa notte a Hong Kong, un giorno dopo la rimozione di un’altra statua eretta in memoria delle proteste del 1989, nota come “Pilastro della vergogna”.

    Ieri anche la “Dea della democrazia” è stata portata via dal campus della Università cinese di Hong Kong (Cuhk), dopo essere diventata un simbolo delle protesta per chiedere maggiore democrazia a Hong Kong. L’opera, una copia alta 6,4 metri della figura allegorica eretta nella stessa piazza Tienanmen di Pechino durante le proteste represse nel sangue oltre trent’anni fa, è stata eliminata in quanto “non autorizzata” dalla Cuhk. Sempre ieri notte un altro ateneo, l’università Lingnan, ha rimosso una stele dedicata a piazza Tienanmen, dopo aver “esaminato e valutato gli elementi presenti nel campus che possono comportare rischi legali e di sicurezza per la comunità universitaria”. Entrambe le opere sono state realizzate dell’artista cinese naturalizzato americano Chen Weiming, che ha parlato di “grande rammarico”. “Contatterò i miei avvocati negli Stati Uniti per vedere se è possibile intraprendere azioni legali”, ha detto a Hong Kong Free Press.

    Il giorno precedente era stata la volta del “Pilastro della vergogna” rimosso dall’Università di Hong Kong a seguito di valutazioni legale e timori “per la fragilità dell’opera”. La statua, alta 8 metri, era presente nel campus delll’università più antica di Hong Kong da quasi 25 anni.

    Le commemorazioni di piazza Tienanmen, severamente proibite in Cina continentale, erano consentite solo a Hong Kong, prima di essere messe al bando nel giugno del 2020, ufficialmente per ragioni sanitarie, a seguito delle proteste per la democrazia dell’anno precedente.

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