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    Francesca Albanese spiega a TPI “l’economia del genocidio” a Gaza e in Cisgiordania: “I profitti sono più
importanti della vita
dei palestinesi”

    Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi occupati, in un fermo immagine di una conferenza stampa trasmessa da UN News

    “Se la Palestina fosse una scena
del crimine, le nostre impronte digitali sarebbero
dappertutto: i beni che compriamo, le banche a cui
affidiamo i nostri risparmi, le università a cui
paghiamo le tasse”. La relatrice Onu spiega a TPI chi guadagna dall'annientamento dei palestinesi

    Di Lara Tomasetta
    Pubblicato il 10 Lug. 2025 alle 17:10 Aggiornato il 7 Ago. 2025 alle 17:06

    In occasione della 59esima sessione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, Francesca Albanese, ha presentato il suo ultimo Rapporto “From economy of occupation to economy of genocide”. Il documento, che segue il precedente rapporto del marzo 2024 (“Anatomia di un genocidio”), propone una lettura più ampia e incisiva del conflitto, legando la distruzione sistematica della Striscia di Gaza al ruolo di aziende, banche, fondi di investimento, università e industrie belliche che traggono beneficio diretto o indiretto dalla repressione israeliana. In particolare, il Rapporto documenta come imprese israeliane e multinazionali (tra cui Elbit Systems, Lockheed Martin, Google, Microsoft e Amazon) abbiano fornito strumenti, tecnologie e supporto logistico che hanno alimentato il massiccio utilizzo della forza contro la popolazione civile palestinese.

    Queste collaborazioni includono forniture di armamenti, sistemi di sorveglianza biometrica, analisi predittive tramite intelligenza artificiale e servizi cloud critici per le operazioni militari. Albanese richiama esplicitamente la responsabilità penale internazionale non solo degli Stati, ma anche delle imprese e dei loro dirigenti. Il rapporto sottolinea che il diritto internazionale impone obblighi chiari in materia di prevenzione, astensione e disimpegno da attività che alimentano crimini gravi, compreso il genocidio. L’attuale complicità delle imprese, si legge nel Rapporto, rappresenta «solo la punta dell’iceberg». La giurista denuncia anche l’omertà dei grandi media e il silenzio colpevole dei governi occidentali, che non solo rifiutano di riconoscere il genocidio in atto, ma continuano a fornire appoggio militare, economico e politico allo Stato israeliano. «Il nostro governo deve sospendere gli accordi commerciali e soprattutto la compravendita di armi e di sistemi di sorveglianza con Israele. È molto grave quello che l’Italia sta facendo perché non soltanto mantiene una posizione di ignavia, ma sostiene e difende Israele», ha detto la giurista a TPI.

    In seguito alla pubblicazione del report intitolato “From economy of occupation to economy of genocide, con un comunicato stampa, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno chiesto ufficialmente la sua rimozione dal ruolo di relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati. La accusano di tutto: antisemitismo, sostegno al terrorismo, perfino di “guerra economica contro l’Occidente”. Come risponde a queste accuse?
    «Non mi interessa rispondere a queste accuse, il mio lavoro parla da solo».

    Tra le aziende citate nel report troviamo Leonardo, una società controllata principalmente dal ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), che detiene una quota di maggioranza. Viene da chiedersi, quanto è implicato il governo italiano nel sostegno a Israele?
    «Il governo italiano deve dismettere questi accordi, altrimenti è lì che serve il popolo che si rivolta. Stiamo parlando di un genocidio che si sta consumando anche con l’appoggio politico del governo che ci rappresenta, poi ci sono anche le università italiane, e questa forse è la cosa più squallida per me. L’università è il santuario del sapere, della conoscenza, della crescita critica, è il luogo dove si forma la parte più giovane della società, il fatto che le università mantengono i partenariati è molto pesante. Ma anche il Cnr (il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ndr) è implicato. Mi sono confrontata con alcuni ricercatori che continuano a sostenere che con Israele si fa ricerca neutra, ma lo vogliono capire che con Israele non c’è niente di neutro? Anche la ricerca sull’acqua, le reti idriche, le cose sono tutte correlate, non c’è una separazione dello sfruttamento dell’acqua delle colonie, dell’acqua sottratta ai palestinesi e della rete idrica israeliana. Non c’è niente di neutro».

    Come giudica, da giurista e da italiana, l’atteggiamento del nostro governo nei confronti del genocidio che si sta compiendo a Gaza?
    «Il Paese e lo stesso governo italiano stanno tenendo un atteggiamento che tradisce veramente tutta la tradizione italiana di rispetto per il diritto internazionale in Medio Oriente, è molto grave quello che l’Italia sta facendo perché non è soltanto mantenere una posizione di ignavia. Il nostro presidente della Repubblica (Sergio Mattarella, ndr) ha stretto la mano del presidente dello Stato di Israele (Isaac Herzog, ndr) quando era stato già richiamato dalla Corte di Giustizia Internazionale per un caso in cui Israele è accusato di genocidio. Quello è un uomo su cui Corte di Giustizia Internazionale ha chiesto all’autorità israeliana di investigare per incitazione al genocidio. Le istituzioni non stanno capendo cosa fanno e questo è gravissimo in un Paese come l’Italia dalla tradizione costituzionale di grande rispetto e prestigio».

    Il report cita molte aziende private, quel sottobosco, per intenderci, che continua a trarre beneficio dall’occupazione e dal genocidio. In che misura queste aziende sono “colpevoli?”. Sono consapevoli in toto di come vengono usati i loro prodotti e servizi? La domanda è, c’è una connessione o possiamo parlare proprio di complicità con Israele?
    «Io ho sottoposto loro questi dati mesi fa e, soprattutto con alcune di queste, c’è stato un confronto in cui hanno negato del tutto. In realtà sapevano benissimo, si dissociano da qualsiasi responsabilità. Alcune aziende hanno veramente tentato in tutti i modi di non essere nominate nel rapporto. Il problema è che io non ho visto alcun impegno a diminuire gli investimenti: i profitti sono più importanti della vita della gente».

    Nel report Lei indaga il capitalismo coloniale e racconta come ci sia tutta una galassia di aziende, istituzioni ed enti privati che favoriscono l’occupazione e giustificano il genocidio. Come Lei stessa ha detto, è un report che serve a creare consapevolezza affinché tutti possiamo fare la nostra parte. Quali azioni concrete si possono mettere in pratica?
    «Vorrei approfondire questo punto. In questi mesi ho avuto un sentimento di forte preoccupazione mentre mi rendevo conto di ciò che stava venendo a galla. Anche io non sapevo tutte queste cose. Mentre vedevo crescere le pressioni contro di me, contro il mio mandato, avevo il timore che non sarei mai riuscita a portare di fronte al Consiglio Onu dei diritti umani questa inchiesta così importante. Credo fermamente che la gente debba capire cosa è successo in questi anni. Che l’occupazione e l’oppressione dei palestinesi non sono finite non solo per le ambizioni territoriali in espansione del sionismo israeliano o per l’ideologia sostenuta anche da tante comunità di cristiani evangelici, o anche per un razzismo di affinità elettive che fa tenere tanti governi occidentali vicini a Israele per la sua “guerra di civiltà”. No, l’annientamento dei palestinesi è un qualcosa di molto complesso ma molto redditizio. Come dico sempre, se la Palestina fosse una scena del crimine avrebbe addosso le impronte digitali di tutti noi. I beni che compriamo, le banche a cui affidiamo i nostri risparmi, le università a cui paghiamo le tasse. Fatta questa premessa, tutto ciò non deve far sentire le persone scoraggiate, non devono pensare “non c’è niente da fare”. No, c’è molto da fare. C’è da essere strategici».

    Come?
    «È importante che si continui a chiedere al nostro governo di sospendere gli accordi commerciali e soprattutto la compravendita di armi e di sistemi di sorveglianza, questo è importante perché queste armi di spionaggio sono usate anche contro di noi. Ecco, la compravendita di questi servizi deve assolutamente finire. E bisogna dismettere l’accordo di partenariato che si ha con Israele. E soprattutto l’Italia deve smettere di sostenere gli accordi commerciali di partenariato che ha l’Europa. Perché l’Italia è tra i più fermi e robusti difensori, mentre ci sono Stati come i Paesi Bassi, la Spagna, il Belgio, la Slovenia, l’Irlanda che ne richiedono la sospensione».

    E i singoli cittadini cosa possono fare?
    «L’azione del singolo è molto importante. Ci sono tante organizzazioni non governative che indicano ad esempio quali prodotti si possono evitare. Pensiamo alla Coop che ha eliminato i prodotti israeliani dagli scaffali. Io non faccio differenza tra i prodotti israeliani e i prodotti delle colonie israeliane, il motivo è che è Israele a commettere crimini. È lo Stato. Il singolo può inoltre informarsi su quali sono i prodotti che non vanno a foraggiare le colonie di Israele, si possono per esempio consultare le liste della campagna del Bds (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni per i diritti del popolo palestinese) che ha definito gli obiettivi di boicottaggio e di pressione a livello internazionale contro aziende complici del genocidio e del sistema israeliano di colonialismo (come scrivono sul loro sito: “Quando si tratta di aziende israeliane, non essere complici significa non essere coinvolti nell’occupazione militare, nell’apartheid o nel colonialismo d’insediamento di Israele e riconoscere pubblicamente i diritti dei palestinesi ai sensi del diritto internazionale, in primo luogo il diritto al ritorno dei rifugiati in conformità con la risoluzione 194 delle Nazioni Unite”, ndr). Chiaramente non si può boicottare tutto, ognuno può scegliere quello che si sente, per essere consapevole. Il cittadino può soprattutto proteggere, informarsi sulla Palestina, proteggere gli spazi in cui si permette di parlare della Palestina, e questo non significa produrre odio contro gli israeliani, anzi, significa schierarsi contro i privilegi di alcuni e a favore dei diritti di altri. E poi appunto, come dicevo, sostenere le azioni giudiziarie delle varie ong, come Oxfam, Amnesty International, Assopace Palestina».

    Secondo Lei perché esiste ancora un’opinione pubblica, parlo di quella italiana, che afferma che Israele si stia ancora difendendo da Hamas? Dove poggia questa mentalità e dove trova terreno fertile?
    «Sicuramente esiste un bombardamento mediatico ideologico e ideologizzato, a opera delle destre e non solo, che ha fatto i suoi danni. Di certo i problemi ci sono anche a sinistra. Il Partito Democratico è ancora molto spaccato sulla questione palestinese e io incoraggio molti a riflettere. Il Pd ha delle forze sioniste al suo interno, ci sono figure di spicco che hanno delle situazioni estremamente problematiche e quindi io credo che la popolazione sia confusa. C’è chi continua a sostenere Israele perché crede effettivamente a una bufala, ossia che Israele si stia difendendo, ma dove è l’esercito contro il quale si sta difendendo Israele? Ma stiamo scherzando? Israele ha scaricato una quantità di bombe sulla Striscia di Gaza – un territorio di 250 chilometri quadrati dove erano stipate 2 milioni di persone di la metà bambini e minorenni – pari a sei bombe nucleari usate ad Hiroshima. Non ci si rende proprio conto, si sono perse le proporzioni e poi soprattutto c’è un clima ideologizzato in cui si parla un po’ senza informarsi, con l’alterigia e un po’ con l’arroganza che è propria di noi occidentali, che parliamo di tutto senza sapere niente. Questo è un atteggiamento grossolano che si è andato nutrendo del cattivo dibattito. In Italia i mezzi di comunicazione sono veramente vergognosi, io non credo di aver visto dei programmi televisivi peggiori di quelli italiani, al di là di alcune eccezioni, il resto sono dei pollai. Quindi c’è poca occasione di comprensione, cattiva informazione ma anche un’ideologia di fondo».

    Ci saranno altri report?
    «Io sono a metà del mio mandato quindi ho altri rapporti da scrivere, soprattutto continuerò ad applicare il formato di rapporti più frequenti ma più brevi con le indagini che continuerò a fare perché alcune non sono riuscita a concluderle per tempo, ma che intendo assolutamente portare a termine, su altre aziende e banche».

    Si sente sostenuta dal nostro Paese?
    «Dal Paese sì, dalla gente. Scrittori e giornalisti leggono pezzi dei miei libri in teatro, c’è la gente che applaude, ci sono parlamentari che fanno il mio nome e c’è la standing ovation, ma è chiaro che mi sento supportata, non si discute. Che poi è così, ce l’hanno insegnato da Pertini ai partigiani, chi lotta per la giustizia porta una croce sulle proprie spalle, però io a differenza di tanti altri non sono sola, ovunque io vada trovo i giovani. Una cosa importantissima per me».

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